martedì 6 marzo 2018

Veglia Europa di Franco Romanò



Di Eva Gerace

Questo libro aperto tra le mani, lo giro, lo chiudo e ritorno ad aprirlo. Domande, solo domande, da dove iniziare?
… e se lo prendo come se fosse una seduta? Cosa mi vuole dire? Chi parla?
Schermo in bianco… ascolto la prima frase: Veglia Europa.
Un’immagine emerge subito: Europa sul lettino. Il suo uomo-toro, a fianco, appare subito nel racconto.
Parla lei e io penso: chi c’è sotto il lettino…?
Come ogni seduta analitica mette in scena una storia straniante, includente, teatro tragico, in principio, talvolta comica. L’interpretazione chiama poesia.  
Silenzio. Orecchi aperti. Come direbbe Adorno: “saper pensare con le orecchie”, per far sì che la parola, il corpo della parola emerga.
Europa parla, emette una sequenza di versi. Parla per sapere: che cosa voglio? Chi sono? Parole enigmatiche anche a lei stessa. Come fare se la tenuta della parola è sempre scivolosa, fatta di arbitrarietà, indeterminatezze, imprecisioni, ambiguità… carme.
Chi è Europa. Chi è quest’Europa che si deve vegliare? O… svegliare?
Veglia sostantivo femminile. Fa riferimento alle ore notturne. Lunghe ore di veglia o fare la veglia a un defunto, anche una veglia danzante!
Un’intera nottata. Ungaretti nel porto sepolto. Poesia di guerra, Prima Guerra Mondiale. Il poeta, avverte la presenza della morte nella vita umana, reagisce: Scrive le sue lettere piene d'amore e celebra la forza della vita. Europa mi fa ricordare lui.
La condizione di vegliare è stare sveglio.  
Mancano parole per rappresentare la realtà, ma queste possono scavare un buco nella realtà. Differenza tra quello che si vuol dire e quello che si può capire, tra quello che pensiamo di essere e quello che siamo.
Europa, sdraiata sul lettino, parla. Impara ad ascoltare le sue parole come se arrivassero da un estraneo. Incertezze, fino a che arriva un’altra domanda, indispensabile: Qual è il mio desiderio? Lei già sa che una scintilla di desiderio, sostenuto eticamente, può cambiare la posizione soggettiva di un soggetto e anche quella di una piccola o grande polis.
Le difficoltà si possono presentare in forme apparentemente diverse, ma c’è qualcosa che insiste... sia in Europa, in America, in Cleopatra, nella Sfinge, in Malinche, nel maggio del ‘68, nella Londra del ‘69 o negli anni ’80…
Ci sono tre lune nella segreta casa, evoca Europa, la seconda lacera il mantello del lago, ricordo il tango: la luna en los charcos, canyengue en las caderas/y un ansia fiera en la manera de querer[1]...
Le ferite dell’amore, della vita, della morte, si possono riflettere sia sul mantello del lago sia en los charcos. Europa ha intenzione d’imparare a navigare e sostenere le sue scelte.  Può così svegliarsi.  
Non scrivo su ordinazione della storia neppure mi ritiro dall’agone… Osservo ciò che accade, trattengo l’alone di ogni evento il sogno che lo fece nascere prima di ogni distorsione. (Franco Romanò, L’epoca e i giorni).
Naviga o cammina, è essenziale la recita. Si alleggerisce. Quando dalle guerre e dalle invasioni lei può parlarne. Ci sono momenti molto intensi, Europa si sorprende con un lampo de verità che illumina un’associazione inedita: A Roma contavano le monete/i senatori. Momento di scoperta, non più eludibile.  
Il tempo è una questione complessa, affrontato dai fisici, dagli scienziati, dai filosofi, dagli artisti e anche dagli psicoanalisti…
E, finisce una seduta, dicendo quindici marzo e inizia la successiva con: il 20 marzo… Così comincia il racconto dei funerali… un’altra volta il tempo. “Il tempo non sembra trascorso e marzo è ancora gentile”.
L’artista precede lo psicoanalista. L’artista è colui che riesce a raffigurare quello che risulta di più orroroso al semplice mortale. Coraggiosa scelta, arriva fino fondo, non senza angosce e tremori, e le storie diventano un canto.
I suoi racconti mi fanno partecipare a diverse scene teatrali.  Lei con il suo abito regale. Dea o regina? O schiava? Ancora non lo so.
Da quegli avvenimenti impossibili da nominare, dove non solo le palme si piegano, a quell’invasione, muta ma fragorosa, può, nella sua lingua nascondere nelle pieghe della gonna memorie di sangue e anche, un prezzo pagato di notte. Morte e sesso, ovunque, si ascoltano nelle radici di quasi tutte le angosce.
Sfiora quei litorali fuori senso e fuori tempo, colpendoci all’improvviso. Difficilissimo da sopportare è qualcosa che prende forma e fa soffrire nel corpo e nella Psiche, è sinistro quando ancora non si riesce a fare a meno, e si ripete e si ripete… Europa, Malinche, ripetono storie di servitù… e conquiste!
Parole, storie, da un tempo chiamato “lontano”, s’intrecciano con scene di oggi, come nei racconti di una seduta.
Nomina uno stile anglosassone… ricorda che loro hanno le donne in comune, vivendo in gruppi di dieci o dodici, e le difficoltà attuali case ipotecate e mutui per la scuola dei figli. Subito il Nilo fa dire di un viaggio durato dieci settimane.  Dici settimane d’amore. L’oracolo parla e la Sfinge guarda.
Cleopatra o Malin, sono nomi. Europa non ci dice se il contesto è vivo o morto, sappiamo solo che è presente. Lei nomina l’ultimo Alessandro e ci conferma questo passaggio delle storie tra ieri e oggi. E, mi sorprende come della storia fa arte poetica, impara a gettare il cuore in campo avverso/legato al filo di parola.
Continua i suoi racconti. Avvenimenti lontani e vicini… assomiglia a Tita Merello che al son de un bandoneón evoca París con Puente Alsina[2].
Anche Chiamamanda Adichie parla due lingue e scrive in Africa sulla birra allo zenzero e denuncia i pericoli di conoscere “una storia sola”. Una sola versione della storia è legata al potere. Toglie la dignità del singolare. Non c’è una sola maniera di leggere, raccontare una novella personale, neanche quella dei popoli.  
Europa fa versi con il passato, rinforza le diversità, e mi fa scoprire che da lì, da qualcosa che si sta vegliando, si può trarre una musa. Europa, Cleopatra, Malin, parlano di vicende, d’amore e di ferite.
Lei mi sta indicando che la donna, in veglia, non può continuare ad aspettare. Mi fa leggere le diverse possibilità che ha una donna per svegliarsi, che deve svegliarsi, forza non le manca.
Lei sta facendo un profondo lavoro sulla femminilità. 
E continua a raccontarmi che lei è principessa, e che senza sapere come è successo, Zeus la conquista quando la vede in spiaggia, con il suo bikini a pois, lui s’invaghisce. Poiché ha tutti i poteri si trasforma in un bellissimo toro. Fanciulla per niente intimorita Europa gli sale sul dorso. Zeus la rapisce attraversa il mare e la trasporta a Creta dove lei è la prima principessa del luogo.

Il mito di Europa da sempre rappresenta le migrazioni e l’intercambio di culture, le grandi trasformazioni sociali e culturali.
Il potere della parola poetica ha la sua efficacia. Europa soffre, è angosciata, chiede aiuto.
La parola, oceano nostro, è un mare pacato/Europa contempla le spiagge dei laghi ghiacciati/la foce dell’Elba. È dolce/invecchiare alla luce del Nord/al sole che resiste/alla tenebra glaciale/oppure si oscura e protegge/il più intimo fuoco.
Respira, lotta con chi la vuole globalizzata, soggiogata. Lei vuole essere diversa. Poetizzare istituisci le differenze.
Vuole il risveglio, è convinta che il destino umano sia questo. “Ogni tanto”, continua, con la sua voce appena sveglia, “sono rari questi momenti di grazia, ma mi permettono di sognare un nuovo sogno, questo nuovo senso che la vita ha”.
Europa, non vuole più veglie per l’altro. Sveglia per ricevere lo straniero. Si domanda, “il mio posto? Qual è il mio posto...? (lunga pausa) C’è sempre in me un posto che resta straniero, non del tutto capito, uno spazio che mi libera, penso di prendere un desiderio… e questo svanisce nella sua realizzazione, e un’altra volta sbuca lo spazio…”.
La sua voce ha una nuova risonanza, cadenza, sonorità. La voce è luogo di risveglio, la voce del poeta ha questo compito.
“Il desiderio è un’attività latente e in questo si rassomiglia alla scrittura: si desidera come si scrive, sempre[3]”.  
Gli artisti, con le diverse modulazione della loro voce, possono portare all’acme.
E oggi Europa arriva con la storia de los Conquistadores.

Reina en campo enemigo, esclava en campo amigo, dondequiera mujer, ve desfilar princesas aztecas a su lado/los grandes de España, desparecer los hermanos y disuelto el vínculo divino y el otro más concreto/deja a Hernán Cortés una gloria claudicante/confía al canto oblicuo en tercia lengua esperanza/irreducible de sentido. Mueve señales al sol modulando sobre el teclado del abanico/el canto de sus dioses, se confía al tiempo/ Vive en el vuelo del colibrí/en la mirada del águila y del cóndor, su nombre resuena en las fábulas ahora/que todos se han ido/vigila velada el corazón de la selva.
Tornate a celebrare il vuoto che respira. (Franco Romanò, L’epoca e i giorni).
Los nombres descuadernados en abanico como un carnet de baile/los idiomas diversos, el silencio/¿Alguien preguntó, alguna vez, cómo te llamas?/Si sucediese responderías otros: Malin, Malinalli, Malina,/los españoles escucharon Marina…/Y después Malintzin, signo de nobleza y distinción/Palabra y sello aterraban/a los embajadores de Monteczuma: así protegida del espanto, deslizabas sinuosa/en el breve silencio de guerra/la barra del timón siempre derecha: descifrar, traducir, esquivar/la palabra peligrosa para ella, la vida por salvar para proteger otra/su hija: sus grandes juegos/no se ocupaban de tales naderías.
“Gli altri no, io sì”, dice Europa, in prima persona, il valore di velare i giochi di mia figlia, e delle donne che verranno e dovranno passare, ognuna, senza garanzia, (anche l’uomo!) questo compito: Costruirsi il nome proprio.





® Le parole scritte in corsivo che non hanno un riferimento sono tratte dal libro Veglia Europa di Franco Romanò, “plumelia” edizioni, 2017.


[1] Tango El Choclo (la pannocchia di mais). Di Angel Villoldo (1864-1919). Famoso tango argentino detto della «Guardia Vieja».  Il debutto di questo tango è stato il 3 novembre 1903. Por tu milagro de notas agoreras, nacieron sin pensarlo, las paicas y las grelas, luna de charcos, canyengue en las caderas, y un ansia fiera en la manera de querer… (Dalle tue note son nati per incanto le donne forti e prepotenti e le donnacce, la luna nelle cavità, il canyengue nei fianchi, e un'ansia fiera nel modo d'amare). 
[2] El Choclo: Carancanfunfa se hizo al mar con tu bandera y en un 'pernó' mezclo a Paris con Puente Alsina, (Caracanfunfa attraversò i mari con la tua bandiera, e in un "pernod" mescolò Parigi con Ponte Alsina). https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=KMiGOEwKSZM


[3] Marguerite Duras.

domenica 4 marzo 2018

La calda Storia di ‘Veglia Europa’ la nuova raccolta di versi di Franco Romanò, “plumelia” edizioni, 2017


di Paolo Rabissi

Ciò che anima in maniera decisiva questa nuova raccolta di Franco Romanò è la tensione etica, irrinunciabile per lui quanto l’esigenza di scriverne in versi. E’ una tensione che è già evidente nel titolo Veglia Europa su cui torno fra poco.

Questa tensione etica del poeta si manifesta sin dai primi versi del poemetto L’ultimo Alessandro, che apre il libro, c’è qui una sorta di dichiarazione di poetica anche se apparentemente il poeta sta parlando delle caratteristiche della lingua latina di Cesare  (l'incipit del poemetto l'Ultimo Alessandro, con cui la raccolta comincia, riporta le prime righe in latino del De bello gallico):
La lingua limpida, il dettato
che non liscia la storia
anzitutto dunque linguaggio limpido, nessuna concessione ad artifici retorici, a metafore eleganti, ma anche nessuna rinuncia a posare lo sguardo sul male della storia, questa è la cifra che a mio parere lega tutti i poemetti.

Ho detto nessun artificio retorico ma è vero fino a un certo punto, ce n’è uno in particolare ed è l’uso del presente storico, proprio alla latina come fa Giulio Cesare, ne viene come effetto che il lettore in certi momenti si ritrova immerso  nel proprio presente mentre di sicuro fin lì si trovava nel passato, valga come esempio proprio nella prima poesia a pag. 18 dove, parlando delle condizioni della plebe il poeta dice

molti essendo oppressi dai debiti o
dal peso delle tasse
o dalla prepotenza dei potenti,
si offrono schiavi ai nobili,
ipotecano le case, accendono
mutui per la scuola dei figli
cadono nella tresca usuraia
[…]                              …affollano
le strade fuggendo da guerre…


Ecco, la narrazione storica è improvvisamente diventata un richiamo del poeta al fatto che l’Europa dopo più di duemila anni è afflitta nonostante la sua lunga storia di civiltà dagli stessi mali legati alla violenza del potere, il lettore viene avvisato del passaggio dall’uso del corsivo, legato al passato, che si fa per il nostro presente normale.
Dunque sembra proprio così, linguaggio e tensione etica fanno tutt’uno nel verso chiaro ma secco che segue un proprio ritmo interiore, di misura breve o più lunga ma sempre a ridosso della sua  tensione empatica verso le sorti della vecchia Europa.

Torniamo allora per un attimo al titolo perché dobbiamo scoprire qualcosa in più.
A nessuno sfugge che si tratta di un titolo che offre molteplici soluzioni di senso, io ho finito a dire il vero col fare una torsione grammaticale di cui provo a dare ragione.
C’è una parola antica ormai caduta in disuso, e comunque di uso solitamente poetico, un aggettivo sostantivato che è Veglio, lo usa Petrarca, lo usa Dante. Dice Dante appena messo piede nel Purgatorio
Vidi presso di me un veglio solo
degno di tanta reverenza in vista
che più non dee a padre alcun figliuolo 
(siamo nel Purgatorio, si tratta di Catone nemico di Silla e poi di Cesare, piuttosto che cadere sotto la tirannia di quest’ultimo si uccide).
Ora veglio vuol dire vecchio, deriva da vetulus, da quel latino con cui Franco Romanò inizia il suo viaggio.
Mi piace allora interpretare, forse al di là delle intenzioni dell’autore, veglia Europa come vecchia Europa.
A legittimare la mia scelta del resto soccorre bellamente  l’emistichio Europa è vecchia dell’ultima poesia.
L’Europa è vecchia ma si tratta di una vecchiaia degna di reverenza e amore come nel caso del Veglio che compare a Dante.
Se leggiamo infatti il resto della poesia l’immagine di Europa che ce ne viene è quella di una signora attempata che racconta la sua storia così lunga e complessa ad una platea di uomini appesi alle pipe e alle labbra di lei per rivivere vecchie battaglie e fastosi trascorsi.
Ma non basta questo per il nostro ragionamento, occorre aggiungere la connotazione etica, infatti Europa è degna di amore ma
non può più celare sotto un manto di
facile oblio quel che lei sa
sorseggia distratta ed il rosso
è solo ricordo presagio
di sangue
Europa, ecco il dettato che non liscia la storia, non deve rimuovere quanto la sua storia grondi di sangue e violenza.

Questa nuova raccolta di versi di Franco Romanò è un invito amorevole ma senza lisciate ad attraversare picchi significativi della storia d’Europa, un invito attento al dettato severo della storia, quello che nelle vicende sciagurate dell’umanità cerca un senso non effimero o banale  e magari anche i segni di un riscatto ancora possibile.
La raccolta parte da Giulio Cesare, ultimo Alessandro, fino a coinvolgere il nostro recente presente con la caduta del muro di Berlino.
Un materiale incandescente in cui poesia e storia, memoria e storia s’intrecciano in quella che vorrei chiamare la calda storia.
Una storia calda appunto della tensione del poeta che interroga
le grandi passioni di uomini e donne, le relazioni d’amore nell’intreccio con il potere, e i sogni rivoluzionari.
Calda perché lo sguardo del poeta indaga oltre le ragioni della grande storia.
la storia deve mettere punti
e virgole, timbrare documenti
e testimoni, stampare i nomi
perché tutto infine si plachi
nei libri
il poeta in questo senso è più libero dello storico, perché è vero che la storia non è più solo quella dei vincitori ma fa ancora omissioni e non sa guardare negli angoli.
proprio negli angoli
bisogna guardare per vedere bene
dice nella poesia intitolata ‘Deportati’

Così il poeta coglie Cesare e Cleopatra in un viaggio sul Nilo che dura dieci settimane e le ore d’amore si alternano ai progetti di  spartizione dell’impero prossimo venturo.
Ci racconta la storia di Malinche, nobile azteca divenuta schiava e poi amante di Cortes e la storia di Guido Picelli, un rivoluzionario che parte dall’Italia e attraversa tutta l’Europa da Mosca alla Spagna inseguendo il suo sogno rivoluzionario.
A tratti lo sguardo del poeta si fa attonito nel constatare la miseria della storia: è il caso di ‘Conquistadores’, il secondo poemetto della raccolta: a cosa è servita tanta violenza e crudeltà , tanta astuzia del potere, ai conquistadores spagnoli sulle popolazioni indie visto che i vinti di un tempo sono ancora qui nel presente?
il messico è pieno di conchiglie e teschi
di spagna… ma dappertutto si guardi
si vedono indiani viventi:
dove sono i conquistadores?  
Forse l’animo più turbato e commosso di fronte alle violenze degli eventi storici il poeta lo svela quando deve farsi testimone della caduta del ‘sogno profano’ quello che partito dalla rivoluzione d’ottobre sembrava destinato ad aprire una nuova era in cui riscattare millenni di oppressioni e violenze di classe.
Qui il poeta si ripiega su se stesso perché la sconfitta ha finito dopo aver sfiorato la libertà col rendere di nuovo il poeta simile al goffo albatro incapace di volare oggi a causa di gabbie nuove più sofisticate e invisibili. Così nell’ultimo poemetto ‘1789-1989’ in un crescendo fortiniano:
Il poeta della storia è un albatro
di nuovo ai ceppi imprigionato.
Scrivere un diverso statuto
sulla dura pietra di una fabbrica
richiedeva tempo e qualcosa di più
della fratellanza, del pane insieme
compagni…
La poesia tuttavia va oltre.
In quest’ultimo poemetto il sogno profano fallito non basta a impedire al poeta di riprendere il suo cammino periclitante in un paesaggio desertificato, tra mille incertezze ma nella consapevolezza della possibilità di un altro diverso percorso:
ma il sarto di Ulm continua a tornare
nei sogni,nel balenio improvviso
e risveglio dal sonno totale,
a dire che sì, si può
imparare a volare.
E dunque possiamo concludere anche noi, quella tensione etica che abbiamo detto attraversare sin dall’inizio questi versi non è nient’altro che la tensione della poesia con le sue ragioni e i suoi sogni.