lunedì 30 gennaio 2017

Il dibattito continua

Pubblichiamo l'acuto e contundente contributo di Donato Di Stasi su Dario Fo e Bob Dylan. Il dibattito dunque continua e di questo siamo molto soddisfatti. I temi e i problemi posti da Di Stasi, oltretutto, rilanciano l'intera discussione nata ormai da qualche mese e sono un prezioso invito a continuare.



FAR SALTARE IL NOBEL CON LA DINAMITE DI NOBEL
A PROPOSITO DEI RICONOSCIMENTI A DARIO FO E BOB DYLAN

Davvero la Letteratura è un cadavere squisito, morta e sepolta sotto torrenziali cronache giornalistiche? Aveva ragione Karl Kraus (Gli ultimi giorni dell’umanità, 1922) a presagire che nei tempi a venire la figura profonda dell’intellettuale si sarebbe fatta scavalcare dalla figurina scialba e cocchiera degli imbrattacarte da rotocalco?
Certo è che ai giorni nostri i giornalisti notomizzano la realtà, mentre coloro che si reputano  letterati  non fanno che discettare del linguaggio, evocando sterili mondi di parole, chiuse in una logosfera autoreferenziale. Dal canto suo il pubblico ha smesso di leggere, si accontenta di sciacquare la coscienza con libercoli insulsi e sommamente inutili.
Risaliamo alle cause di questa catastrofe, senza scomodare antropologismi e sofismi alla moda: le prime avanguardie (1910-1930) come pure le seconde (1960-1970) hanno triturato e cancellato il patrimonio di un’intera civiltà scrittoria. Chi non ricorda i millanta peana elevati per la morte della poesia e del romanzo?
Che cosa resta? Leggo la Recherche  e mi sento un paleografo, un raschiatore di tavolette sumeriche, tanto la complessità dell’incedere proustiano sembra lontana anni-luce dal rapido e parattatico periodare degli odierni tramatori di storie. Nonostante questo disastro, il sottoscritto, insieme a chiunque voglia salire sul ring a testa bassa,  non rinuncia a picchiare forte su figure e concetti nuovi, per non darla vinta a chi ha ridotto l’accadimento letterario a un Golem sfaldato in polvere semantica irricomponibile.
Sto alla scrivania come alla consolle di un concerto rock (l’uscita magnifica appartiene a Deleuze), cerco l’esplosione di energia, la vita vera e non mi rassegno alla calma piatta dei social media.
Veniamo al punto, alla disputatio quodlibetalis, ingarbugliatasi in una vexata quaestio: due Nobel per la Letteratura conferiti a un teatrante e a un canzonettista. Fu vero scandalo?
Guardiamo di sbieco: Dario Fo (Mistero buffo in primis) con le sue pièces fonda un altro mondo, un universo festoso, radicalmente in contrasto con la seriosità del potere. Il riso non ufficiale di Rabelais e di Folengo irrompe nel lacrimatoio italo-europeo e spande una salutare e sedula anarchia. Fo porta l’esuberanza del nomade carro di Tespi, le parole impossibili da imbrigliare, una diversa modalità di offrire e condividere lo spazio scenico. Lo si può definire un autore/istrione radicalmente trasgressivo.
Bob Dylan si muove nella stessa direzione: vìola la linea di demarcazione tracciata fra folk song e poesia. Raccoglie l’eredità duplex dei metafisici inglesi e dei maudits francesi, riversandoli negli angusti confini della canzone di protesta. Dylan scrive molto e armonizza senza originalità i versi con cui sono cresciute intere generazioni, segnandole con la sua disturbante voce adenoidea e con una scrittura visionaria e fiammante.
In sostanza due non-letterati, due artisti controcorrente, antagonistici, ciascuno a suo modo, ma allora a che pro accettare la mela avvelenata del Nobel per la Letteratura, perniciosa manovra di annacquamento e di accademizzazione della loro protesta recitata e cantata?
Il problema non è se è giusto o sbagliato assegnare il Nobel a Fo e a Dylan, quanto stupirsi del fatto che l’abbiano accettato.
Il sistema, si sa, ingloba e fagocita. Furbi  i parruconi di Stoccolma a indicare due outsider.  Tre  piccioni con una fava: 1) ufficializzare la morte della Letteratura, premiando due non letterati; 2) cancellare con un colpo di spugna quel minimo di cultura alternativa che ancora circola nelle arterie vetrificate di questa società-acquario; 3) stabilire una sordida  e acritica equivalenza di cultura alta e bassa, cultura di massa e cultura della massa in omaggio al dettato postmoderno del “tutto fa brodo”.
Il punto non è il Nobel a Fo e a Dylan. Diventa dirimente il fatto che su quel premio dovevano sputarci sopra, mantenendo un minimo di coerenza con il proprio passato.
No ai premi e ai trenta denari del servilismo. No alla società dello spettacolo. No ai pinguini impomatati che vanno a cingersi di alloro con i dis-valori che dovrebbero combattere. Si al lavoro duro, sottotraccia, degli anacoreti, sobri e misurati, che credono ancora nella possibilità di rizollare il deserto.