mercoledì 4 marzo 2015

RIFLESSIONI A MARGINE E COMMENTI

 
24 febbraio 2015

Nino Iacovella ha partecipato al primo incontro della rassegna Poesia e Storia, tenuta lo scorso autunno alla libreria Franco Angeli in Bicocca di Milano e intitolata Novecento. La sua lettura ha riguardato la sua ultima raccolta di versi Latitudine delle braccia (di essa prossimamente avremo modo di parlare nella sezione Contemporanea). Lo stesso poeta ci ha regalato un suo commento sull'iniziativa e sulla poesia italiana che qui riportiamo.

Il movimento di lungo periodo dell'arte poetica italiana di cui si è parlato negli incontri con Paolo Rabissi e Franco Romanò ci ha fatto discutere sulla possibilità di individuare una nuova forma di epica nella poesia italiana.
Così com'è intimamente epico, o etico, il loro volersi estraniare dal coinvolgimento istituzionale del mondo letterario, una scelta utile per isolarsi dal rumore di fondo di un ambiente che, pur vissuto e analizzato, in parte si rinnega.
Una poesia da tempo incanalata nel binario prevalente dell'autoreferenzialità lirica, quella italiana, impregnata di una sorta di "poetica" che spesso non approda ad alcun valore o sentimento universale. "Poetizza" sul proprio io senza ambire, per volontà o mancanza di capacità, alle corde emotive del lettore. Una forma di autocompiacimento senza la minima ricerca di un atto comunicativo che spesso scivola, anacronisticamente, anche nell"iperletterario. Così come la poesia "simulacro", ossia l'ostentata rappresentazione di una certa idea preconcetta del sublime.
Voi rispolverate la poesia "epica" per innestarla in questo contesto di lirismi predominanti. Il compito è arduo ma doveroso; basta aprire gli scenari della poesia attuale, farle respirare aria pura, nuova perché l'epica, oggi, non può prescindere dalla realtà. Il poeta deve offrirci il suo sguardo attraverso la poesia, un guardare e sentire il mondo che gli sta attorno ripropostoci con "responsabilità creativa" attraverso il testo.
La poesia epica è eticamente chiamata a comunicare.
E' molto bella la declinazione che ne fa Lucianna Argentino, donna e poeta di grande sensibilità, che attribuisce all'epica le vicende piccole ed eroiche delle persone semplici. Epica, quindi, non come dinamica collettiva, di un popolo verso la sua storia, ma come sommatoria di singole esistenze che quotidianamente affrontano le difficoltà del vivere, quando in ognuna di queste permane quel senso etico e profondamente umano, nonostante quel senso di spaesamento e di lacerazione valoriale dell'epoca.
Nel mio caso, nella stesura del libro "Latitudini delle braccia" non ho avuto alcun progetto epico. Ho voluto solo instradarmi verso una ricognizione della mia vita. Autoreferenzialità? Non proprio. Perché ho vagato, per questo, nei posti al di fuori di me per poterla andare a cercare: la strada, le piazze, i non luoghi. Mi sono riconosciuto "osservandomi" attraverso gli altri. Solo così mi è stato possibile capire quale fosse il mio contributo al rumore di fondo del vivere collettivo, quello del nostro tempo. E questo vivere collettivo, che mi comprende, l'ho trovato davvero poca cosa.   
Per questo sono tornato indietro nel tempo, per cercare un aggancio verso un vivere al quale potessi attingere un esempio, un ideale, una abbraccio aperto verso l'altro, che troppo spesso ora ci manca.
I testi sulla memoria della guerra in Abruzzo, sulla resistenza, sono infatti un tentativo di ancoraggio verso un periodo di grande solidarietà, eroismo e umanità nonostante la barbarie. Basti pensare alle gesta della banda dei partigiani della Brigata Majella che, dopo aver liberato la loro terra, l'Abruzzo, si sono affiancati alle truppe alleate per risalire le Marche e L'Emilia per liberarle. Qui, per me, vi è l'ultimo periodo della mia storia (mia in quanto storia della mia gente) dove posso ritrovare una definizione classica di epica. Se ho trovato poi una voce, un canto per rievocarlo con coerenza, forse per me è stato, nel tempo, l'unico mio atto individuale e incosciente di epica. Se di epica si tratta.


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10 Novembre 2014


RIFLESSIONI SUGLI ULTIMI COMMENTI AL BLOG

Prima di tutto vorrei ringraziare tutti gli intervenuti che con le loro osservazioni e spunti critici hanno rilanciato i contenuti che abbiamo proposto, ne hanno avanzati di nuovi o sollevato altri interrogativi assai stimolanti. Ne raccolgo alcuni, trasversali a molti interventi e uno che mi viene in particolare suggerito dall'intervento di Paolo Borzi, quando al punto sette delle sue riflessioni, dopo avere affermato che da sempre l'epica è sede di saperi allotrii, si domanda quali sono quelli che oggi potrebbero interessare l'epica nuova.
Il primo che mi viene in mente è il sapere scientifico anche se non si tratta di una novità assoluta. Lo ha già fatto Pagliarani, altri lo hanno sfiorato, eppure mi sembra che il campo da esplorare sia qui molto vasto, ma necessiti anche di uno spostamento di prospettiva. Guardando indietro nel tempo e anche fuori dall'Italia, nomi di poeti e narratori che hanno celebrato la scienza come impresa epica ne trovo diversi; dai grandi ai semplici narratori-divulgatori come Jules Verne. Oggi, però, occorre una serie di precisazioni. L'euforia positivista che nutriva molte di quelle narrazioni resiste solo come ideologia e molto di quello che la pubblicistica ci indica come scienza è solo tecnologia spacciata per verità assoluta, cioè una forma moderna di teologia medioevale. Tutto ciò pone delle grandi difficoltà perché da un lato il riferirsi di nuovo alle scienze implica la messa in atto di un pensiero critico, ma dall'altro questo espone l'artista al rischio di un'invasione di campo. Non si può parlare di scienza senza cognizione di causa, lo si poteva fare per esaltarla, come nelle narrazioni di cui ho detto, oppure per criticare la sua propensione faustiana ma anche questo oggi non basta più. Chi si limita a denunciare ciò è destinato a non trovare alcuno spazio, oppure a fuggire per la tangente verso l'irrazionalismo o il pensiero magico  che sempre si accompagna ai momenti di grave crisi sociale.

Più in generale mi sembra che tutti gli interventi concordino con la necessità di precisare ulteriormente, di approfondire, di stare nella contradditorietà dei pensieri che accompagnano la poesia, come nella riflessione di Lucianna Argentino, che condivido in larga misura con alcune precisazioni. Non si stratta tanto di grande storia o meno, perché credo che abbiamo precisato che l'epica nuova, o come si chiamerà, non ha al proprio centro la figura epica per eccellenza (eroe o eroina), ma proprio le vittime silenziose o meno di quella che un tempo si sarebbe chiamata epica. In questo senso raccolgo anche la sollecitazione di Marcello Carlino sulla improponibilità dell'epica tradizionale. Concordo, ma mi sembra interessante cercare di dire perché, pur dando per scontata la sua improponibilità. Faccio allora due esempi precisi su materie che erano il pane quotidiano dell'epica classica e cioè l'amore e la guerra. Partiamo dalla seconda.
Quale qualità eroica ci può essere in un combattimento che non avviene più da decine d'anni ormai fra eserciti contrapposti, ma è sempre più guerra contro i popoli e le popolazioni civili? Mi verrebbe da dire che l'epica si collochi solo dal lato di chi non combatte ma ne subisce le conseguenze: un vero paradosso.
L'amore. Dopo che le avanguardie del primo '900 hanno demistificato gli stilemi del linguaggio amoroso e dopo che il femminismo ne ha svelato la parzialità spacciata per universale, tutte le figure tradizionali come la musa, l'eterno femminino ecc. sono in qualche caso cadute addirittura nel ridicolo, oltre che mostrare di essere costruite su un immaginario del tutto avulso dalle donne reali. Forse è fra le scritture poetiche femminili che si potrebbe indagare sulle modificazioni dell'immaginario che esse esprimono o meno.
                                         

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INVITO AL TERZO INCONTRO DELLA RASSEGNA:

                                                    POESIA E STORIA IN BICOCCA

                                               QUARTO INCONTRO



QUARTO INCONTRO.

LUNEDÌ 15 DICEMBRE ORE 18.30

LIBRERIA BOOKSHOP FRANCO ANGELI VIALE DELL'INNOVAZIONE,11 DI FRONTE AL TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI NELLA PIAZZETTA RIBASSATAME


COME ARRIVARCI? METRO LINEA ROSSA FERMATA PRECOTTO POI TRAM NUMERO 7 (DUE FERMATE), LINEA 3 FINO A STAZIONE CENTRALE E BUS 87, OPPURE STAZIONE FERROVIARIA GRECO PIRELLI CENTO METRI A PIEDI IN DIREZIONE DI VIALE INNOVAZIONE.


MIGRAZIONI.


Presenta Paolo Rabissi.


Leggeranno i loro testi:


LUCIANNA ARGENTINO E FRANCO ROMANÒ

L’attrice Laura Vanacore leggerà io testi poetici di

YANG LLIAN.

Alla fine della serata rinfresco.

INGRESSO GRATUITO


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27 ottobre 2014

Pubblichiamo altri due interventi che commentano criticamente i contenuti di questo blog.


Adriana Perrotta:

Il dato primo per me è che il discorso smuove  qualcosa, a livello di riflessione, quindi centra il bersaglio, in un tempo di proliferazione insensata di parole scritte e parlate.


E non poteva essere diversamente, dal momento che le figure, i paesaggi, le situazioni che Epica Nuova chiama in causa per un verso riguardano la nostra vita presente e quotidiana, collettiva e individuale, pur con le dovute distinzioni di condizioni socioeconomiche, di esperienze di vita e di pensiero, chiamano in causa  cioè la Storia e le storie, non enfatizzerei una netta separazione tra l'una e le altre, perché si tengono in stretto collegamento, influenzandosi a vicenda, come del resto ha mostrato con maestria Elsa Morante. 

Per un altro verso Epica Nuova tratteggia figure, rimanda a situazioni, delinea paesaggi, esteriori e interiori, che abbiamo conosciuto con altri nomi e in altre epoche, elementi che fanno parte del nostro modo di sentire, pensare, parlare, del nostro immaginario quindi, comune oltre che artistico, che abbiamo appreso fin dalla nostra venuta al mondo, nella comunità di parlanti alla quale apparteniamo.
Allora il cortocircuito si attiva immediatamente, senza bisogno di esplicitarlo; non per tutt*, d'accordo, questo dipende in un  certo grado anche dalle conoscenze più o meno approfondite della letteratura e soprattutto dalla sensibilità personale di ciascuno/a. In questo senso eviterei di essere didascalici, non apporterebbe nulla, ma nuocerebbe in qualche modo appesantendo il blog in senso dottrinale.

Quale la funzione dell'arte nel sociale? 
Domanda un po' retorica, la risposta non può essere anticipata, semmai potrà essere ricostruita dopo, dagli storici e dalle storiche dell'arte, dei costumi sociali e antropologici di un'epoca, la  risposta semmai riguarda i posteri, non i e le viventi, che l'arte la vivono e la respirano, più o meno consapevolmente, nelle molteplici forme  nelle quali si presenta di volta in volta. 

Marcello Carlino:

La vostra iniziativa è particolarmente apprezzabile, intanto per le ragioni che espongo di seguito:
a) la necessità di ripristinare una scrittura che fuoriesca dagli ambiti della autoreferenzialità per dimensionarsi più marcatamente e
più responsabilmente nell'ambito della socialità e della politicità;
b) un ripensamento dell'apparato di produzione della letteratura - dico con Benjamin - che implichi un riposizionamento dell'autore
nonché una riqualificazione dei mezzi di comunicazione letteraria e di interazione culturale;
c) l'impulso alla rielaborazione critica e alla progettualità della poesia, per tanto tempo accantonate;
d) anche nella prospettiva di cui al punto c) una rilettura tendenziosa della tradizione e, nella tradizione, il privilegiamento
di una linea minoritaria ma oppositiva, minoritaria proprio perché oppositiva.
La proposta dell' "epico", al di là della terminologia adoperata più o meno condivisibile epperò strumentalmente assai utile, va però
discussa e approfondita - ed è naturalmente ciò che voi intendete fare augurandovi una incoraggiante partecipazione; sulla mia, nei tempi
per me possibili, contateci pure - anche perché occorre distinguere la nuova parola-progetto e comunque determinarla in rapporto:
- ai fondamenti e ai modi dell'epica classica e della sua tradizione, oggi irrecuperabili;
- alle forme di una dicibilità e di una cantabilità di taglio realistico/predicatorio o quotidiano/minimalista altrettanto irrecuperabili;
- alla new epic che ha segnato, con qualche semplificazione e con qualche contraddizione di troppo, il dibattito sopra la narrativa
recente;


- la postulazione tuttora aperta, e tuttora da rivisitare, della allegoria.

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26 0ttobre 2014

Riprendiamo oggi  a pubblicare i commenti che in questi mesi dall'uscita del blog ci sono giunti.
Ringraziamo con calore autori e autrici. Nel nostro progetto contiamo di poter avere prossimamente un incontro con tutte/i.



Antonino Contiliano:

A suo tempo ho letto il testo della nuova epica dei Wu Mi, e molto sinceramente, come nelle tue e mie aspettative, spero che la "diepicanuova" (di epica si interessa e conosco anche l'iniziativa di Gianmario Lucini, edizione CFR) segni un taglio netto e, come in Foucault (L'ermeneutica del soggetto) la nuova etica (la cura del sé privata e pubblica), non sia scissa dalla critica politica e dall'economia politica che le identificazioni in corso impongono all'agorà vecchia e nuova. Certo è che il quadro dei "dispositivi" di disciplina e controllo biopolitici (da Foucault messi in luce), egemonizzato dal biopotere capitalistico, non ha sminuito le analisi materialiste di Marx, bensì ne è un arricchimento e un aggiornamento. Del resto quelle prime analisi non conoscevano le tecniche della meccanica quantistica e l'economia digitale della globalizzazione, ma ne avevano preannunciato l'arrivo. La "diepicanuova"  ha davanti queste sfide. Facciamo in modo che sia una sfida e una testa d'ariete? Il mio primo impatto, dalle poche cose lette, sull'iniziativa del blog è positiva e di fiduciosa.

Donato di Stasi:

Ho letto con attenzione la presentazione del blog. Concordo in larga parte, ma
voi aprite discussioni amplissime, interi mondi culturali e antropologici si  affollano nella mente e reclamano comprensione. Sono argomenti da meditare a lungo, primo fra tutti il senso dell'epica, la  sua attualizzazione in un tempo che sembra poter fare a meno della letteratura  in genere. Sono felice di poter portare il mio contributo, lavorando su Pagliarani e sui  suoi testi: è un autore che amo particolarmente, poi mi citi il sublime Walcott (come si fa a non scrivere qualcosa su di lui?)
ai prossimi aggiornamenti.


Carissimi, il libro qui sopra linkato,  prefato dalla Cancellieri, ci dice bene quanto sapevamo: gli impiegati, ovvero proletari borghesi, hanno fatto la migliore letteratura moderna, in specie il Romanzo. Quale “classe”, se così potrebbe essere ancora il caso di dire, farà l’Epica Nuova? Il Romanzo, a sua volta, nasce dall’alveo avventuroso dell’Epica, il lato ulisside della medaglia omerica, e il Bretone di quella medievale francese.
Ora, l’ Epica nuova, cosa dovrà al Romanzo moderno e cosa all’antecedente omerico e bretone avventuroso? e cosa poi al lato “tragedia” (Iliade e Canzone d’Orlando) dell’epica greca e medievale? Qualcosa poi forse dovrà anche alla poesia “frammentata” moderna? Questo genere di considerazioni ci portano dentro la parte mancante dei vostri discorsi, che sono bellissimi e tutti condivisibili, e mi hanno davvero emozionato.

Articolo mancante 1): genere letterario dell’Epica Nuova. Facile rispondere: poema epico nuovo. Siamo sicuri? Per me, il Poema Epico antico è la summa a monte di tutti i generi letterari possibili; il Poema Epico nuovo potrebbe essere una sintesi a valle, forse. Di certo non alludo a una soluzione necessariamente unica.

Articolo mancante 2): struttura tragica e-o no di detto poema(sopravvivenza-o meno- delle famose “unità”, di preamboli, nodi e scioglimenti etc.).

Articolo Mancante 3): lato psicontico. Questo particolare lato riporta  vari depositi magico-avventurosi dell’ Epica Tradizionale, in una parola al Folklore, allegorico ed  esistenziale. L’epica Nuova ha un Nuovo Folklore? (argomento magistralmente sfiorato da Paolo Rabissi quando allude alla “separazione” del fiabesco e suo relegamento all’ infanzia) etc.

Lato mancante 4): assetto della versificazione. A fare l’Epica Nuova sarà più l’argomento o il “tono”. Il primo, senz’altro (alto, drammatico, collettivo, nobilmente “guerresco” tra Bene e Male), ma solo in presenza d’un secondo elemento che gli sia adeguato (tenuto, lungo, ondoso, breve, sincopato, misto, etc.?). Subito dopo viene il problema della metrica, che è secondario a questo tipo di scelta base.

Lato mancante 5): Epica Concettuale e Riscritture. Siamo sicuri che Ariosto e Tasso siano superati? Forse sì, ma interessante sarebbe (è) scavalcarli all’indietro. Il Ciclo Bretone, ad esempio, è una immane Tragedia (sia come storia ispiratrice che come ossatura base) su cui non è mai stata fatta una singola Tragedia, se non dagli sceneggiatori moderni e dal sottoscritto (poema epico a “riquadri”, non a caso, per buttarla maggiormente lì, sul teatrale). Uno dei risvolti “moderni” di questa operazione, che mi è balzato mentre lo producevo, è il “setaccio” dei depositi aurei, o, per meglio forse rendere, il disseppellimento dello “psiconte-tartufo” dalla mota delle convenienze e sconvenienze modali del proto romanzo basso medievale. Poi, la “messa in evidenza” dello psiconte e la stringatezza modale della poesia moderna, con distillazione audiovisiva dei tempi, delle cose, e dei movimenti (la “cinematografia sentimentale” di campaniana memoria). Riconosco in Paolo Rabissi forse l’unico-insieme al prefatore- che ha inteso interamente  le cose come volevo fissero intese. Per fare sette punti, ne mancano due, direttamente richiamati da questo.

Lato mancante 6): misura delle “stanze”, ovvero  ottava rima, alias riproponibilità di stilemi appartenenti a un “popolo remoto”. Il discorso ovviamente è sfumato, può riferirsi a un rapporto di ispirazione, rivalorizzazione, riguardante i “brani dei brani”, le “stanze” come piccoli circuiti nel Grande Circuito etc. Personalmente, quanto ho rilevato  dell’ottava provandola a “sfruttare” in questa direzione, è stato un adeguato funzionamento, sia rispetto l’intento “cinematografico” di cui sopra; sia rispetto la capacità di compendiare efficacemente i versi brevi all’interno, e di modulare narrazioni e moti lirici attraverso l’uso anche quasi esagerato dell’ enjambement.

Lato mancante 7): Saperi allotri. L’Epica è sempre stata un deposito di saperi non-poetici. Quali i privilegiati dell’Epica Nuova?

Facciamo 8 per scaramanzia ottavaiola.

Lato mancante 8): dialettica “Servo-Padrone” per un marxismo critico che finalmente creda fin nelle midolla che il sapere è  roba da  subalterni. Poco o forse nulla è stato colto, dal noto passo della Fenomenologia dello Spirito, che possa riguardare i discorsi che stiamo facendo. Il “Servo”, in realtà, tenendosi stretta la morte vicina, ma anche affrancandosi e nobilitandosi col suo lavoro, apre l’Avventura del Sapere e il Sapere dell’Avventura. Sottoproletari antichi e proletari borghesi furono gli “eroi” (sarei tentato di togliere le virgolette) di quelle meraviglie che chiamiamo poemi antichi e grandi romanzi moderni. Ora, gli eroi possiamo pure toglierli sia dai contenuti, sia dai loro ideatori. Ma l’Epica resta, e mi pare che quanto andiamo dicendo possa esserne una conferma.

Al contrario di Voi accennerò in coda alla mia produzione, che sia sul rapporto col Romanzo moderno (le Sciamanicomiche), che con nuovi generi letterari (Nuovostilvecchio), che con “riscritture concettuali” (la Materia di Britannia), non fa che dimostrare la millimetrica coerenza con le mie convinzioni. Circa l’opera prima (il Trivio dell’Innocenza) ritengo che la scalcinata “epopea”-in endecasillabo ottaveggiante-di Pasquale Bricci, morto suicida forse per la retrocessione della sua squadra del cuore, appartenga-almeno spero-a un presagio di epica nuova, piuttosto che al calco dell’eroicomico, proprio per essere il protagonista un borghese emarginato senza volontà di potenza ma anche nobiltà subalterna: Eros e Thanatos lo spiaccicano dunque in una morsa rapidissima, preludendo, attraverso Frate Indovino (ciclicità sacrale e rurale sperimentata da una sorta di  Bricci sopravvissuto) e alle metanoie del “Corbezzolo Lucumonico”, a una sorta di riscatto neo-folklorico e anch’esso dunque neo epico.

Vi abbraccio forte e vi ringrazio entusiasta per questa iniziativa

Paolo Borzi


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Lucianna Argentino.

Caro Franco,
ho letto con attenzione quanto dite tu e Paolo Rabissi e per cominciare posso dire che è da un po' che anch'io sto riflettendo su quale poesia sia necessaria oggi. Tuttavia mi dico pure che forse è un falso problema perché la gente va comunque al cinema, alle mostre d'arte, a teatro, ai concerti (sì è vero un po' meno alle letture di poesia) e che dunque l'arte è necessaria, risponde a delle esigenze profonde dell'animo umano che vanno oltre le preoccupazioni per il futuro, per la crisi economica. Insomma risponde a delle esigenze che prescindono dal periodo storico. Che la poesia è comunque e sempre necessaria qualsiasi volto essa abbia. Ma queste sono tutte considerazioni ovvie e banali. Però è pure innegabile che i tempi che stiamo vivendo ci pongono davanti a delle istanze che non possiamo ignorare. Dal mio balcone al sesto piano che affaccia su un mercato rionale nel pomeriggio, prima che arrivino gli operatori dell'Ama, vedo poveri cristi e gabbiani contendersi frutta e verdura rimaste a terra e mi chiedo quale poesia potrei leggere a quella persona? e che penserebbe? mi manderebbe a quel paese? penserebbe che la sto prendendo in giro? o magari ne sarebbe contento? Addrizzerebbe la schiena e starebbe ad ascoltarmi? Subito dopo penso a Neruda, a Neruda che va a leggere poesie ai minatori cileni che lo ascoltano, si commuovono, li recitano a memoria e non credo che gli leggesse poesie sulle terribili condizioni in cui vivono i minatori altrimenti credo proprio che lo avrebbero cacciato a pedate nel sedere! Sulla poesia ho delle idee contraddittorie, forse è l'unico modo di avere idee sulla poesia. Un mio amico dice che le poesie dovrebbero essere pietre, io gli ho detto ok, ma non per lapidare semmai per smuovere le acque stagnanti della nostra coscienza (anche se  ogni tanto lapidare – a parole - qualcuno sarebbe cosa buona e giusta. ma la bellezza poi, mi chiedo pure, dove finisce? non muore assieme al lapidato?). Poi mi dico che il poeta deve essere un po' rabdomante e cogliere le esigenze della gente, un medium che viene a contatto con lo spirito del tempo che gli suggerisce cosa è necessario scrivere in quel momento. Ma il poeta deve seguire le necessità del mondo o le proprie? E la poesia parlando a tutti i livelli  dell'essere non è in qualche modo sempre attuale anche se non è contemporanea? E le proprie necessità non sono poi quelle del mondo, visto che pure il poeta vive nel mondo e non sulle nuvole come pensa qualcuno? Voglio dire che la poesia non può essere slegata dal proprio tempo, perché non lo è il poeta che la scrive anche se sì Pasternak si affacciò alla finestra e chiese ai bambini che giocavano “Miei cari, qual millennio è adesso nel nostro cortile?” ma certo la sua domanda alla vigilia della rivoluzione del 1917 ha l'aspetto di una premonizione, di un pre-sentimento dell'andamento dei tempi e dunque testimonia di quanto egli fosse e sentisse il tempo in cui stava vivendo. Ultimamente mi è capitato di avere la tentazione di chiedere alla prima persona che avessi incontrato “scusi, lei cosa si aspetta dai poeti?”. Io certo non scrivo per gli altri, né scrivo ciò che penso possa piacere e/o interessare agli altri e penso che nessun poeta serio lo faccia. Scrivo perché non posso non scrivere come diceva di sé un poeta ben più grande di me come è Marina Cvetaeva. Riguardo ai ripiegamenti esistenziali in effetti sì il rischio di parlarsi addosso c'è ed è quello che temevo io con Diario inverso, invece poi a quanto pare pur parlando/raccontando di fatti personali è accaduto che le persone ci si sono riconosciute, e così mi è capitato durante alcune letture quando qualcuno alla fine è venuto a dirmi che quanto avevo letto corrispondeva al suo sentire, che avevo espresso quanto provava ma a cui non era riuscito a dare le parole giuste. Ecco forse è qui la questione. Trovare le parole giuste. La poesia è questione di esattezza e di verità questo la gente lo sente e riconosce la poesia perché la poesia è fatta di parole e deve parlare non sproloquiare, anche questa sembra una banalità, ma in fondo non lo è. Sto rileggendo in questi giorni “L'angelo necessario”  e mi piace quanto dice Stevens a proposito della poesia che ci aiuta a vivere la nostra vita, che ne esalta il sapore. (Ma concordo con lui anche quando dice che il soggetto del poeta è la sua idea del mondo) Penso sia capitato a più di qualcuno che in un momento buio della propria esistenza la lettura di una poesia sia stata d'aiuto, abbia portato un poco di luce, di conforto (così come l'ascolto di una musica, il godimento di un'opera d'arte), ma sia pure stata di illuminazione, di maggiore consapevolezza perché la poesia come dice  ancora il mio amico poeta e io con lui è un seme, ma mi piace immaginarla  pure come un batterio buono, un globulo bianco, che attacca e cerca di sconfiggere le tante malattie che minano la salute dell'anima.  Durante la mia adolescenza leggere le poesie di Leopardi, di Ungaretti e pure di Tagore mi faceva sentire meno sola e meno ostile quel mondo che mi si parava davanti e mi strappava all'infanzia. Ma tornando alla necessità di una poesia epica che torni a guardare alla Storia (per quanto riguarda il nuovo che chiede di essere nominato la poesia lo fa, lo fa tutta la poesia), volevo dirti che ho una cara amica  di sinistra che partecipa a tutte le manifestazioni - in qualsiasi città si tengano, lei prende e parte - in difesa di quei diritti umani in cui tutti crediamo eppure io no, non ho mai partecipato a nessuna manifestazione e pensavo di contro alla mia esperienza di volontariato alla Caritas e a quella della distribuzione del cibo ai senza fissa dimora che vivono nelle stazioni qui a Roma e riflettevo sul fatto che è quest'ultima la dimensione che mi si addice maggiormente. Che io devo guardarlo negli occhi l'altro, il disgraziato, lo sventurato, lo devo toccare, gli devo parlare e che dunque se gli ideali non si incarnano in persone concrete faccio fatica a viverli. E così per la poesia. La Storia con la s maiuscola mi interessa fino a un certo punto, mi interessa di più la storia con la s maiuscola delle persone che non hanno voce o l'hanno flebile. Allora la poesia amplifica la loro voce, questo sì ed è quello che ho cercato di fare nei poemetti di “La vita in dissolvenza” di cui parlavamo in quel bar di via Giulia. Poemetti/monologhi, come li ho chiamati, in cui ho dato voce a donne la cui storia è sconosciuta ai più, in cui racconto un momento cruciale della loro vita su cui altri possono emozionarsi, riflettere, ritrovare una parte di sé.
Ho scritto queste righe di getto e me ne scuso ma ci tenevo a condividere con te i miei pur confusi pensieri, scritte quasi di getto e perdonami alcune ingenuità  scrivo mentre penso mentre di solito scrivo dopo aver pensato anche se scrivere e pensare la scrittura è un validissimo alleato del pensiero,  a volte si tira dietro dei felicissimi pensieri, delle illuminate intuizioni.

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16 giugno 2014
Mi accorgo ora che la mia riflessione precedente del 17 gennaio è lontanissima. Nonostante le ripetute intenzioni di incrementare questo spazio sia io che Romanò non siamo stati puntuali. Ma la ragione c'è e sta tutta nella crescita del discorso sull'epica e soprattutto sulle iniziative che oltre a questo blog abbiamo attivato.
Anzitutto le due presentazioni di blog e autori avvenute rispettivamente ili 4 e il 14 giugno, quindi appena alle spalle.