Pubblichiamo queste pagine critiche di Gabriella Galzio dal titolo "Un'epica gentile', un modo nuovo di guardare all'epica". Un contributo intorno alla poesia epica, cui questo blog è dedicato, che apre
altri percorsi di analisi. E' frutto di un suo lavoro in corso ed è stato oggetto di lettura e discussione nell'ultima giornata del suo salotto letterario. Ringraziamo l'autrice e invitiamo lettori e lettrici a intervenire con i loro commenti.
altri percorsi di analisi. E' frutto di un suo lavoro in corso ed è stato oggetto di lettura e discussione nell'ultima giornata del suo salotto letterario. Ringraziamo l'autrice e invitiamo lettori e lettrici a intervenire con i loro commenti.
E vorrei partire da un distinguo: poematico non è ancora epico. Nel ‘900 la
narratività in poesia si è fatta largo rendendo prosastico il verso, ma non
tutta la poesia in prosa può dirsi epica. Cos’è allora che la distingue? Romanò
parla di “tracce di un sentimento e di uno stile epici, l’incedere dei versi” e
con questo accenna allo stile, al passo, al piede, al metro…accenna poi ai
soggetti dell’epica, alla “storia con le sue imprese e le sue sconfitte, ma con
la coscienza e la dignità di chi non rinuncia”, all’”eco delle lotte e delle
imprese di questi soggetti storici”, dove “l’epopea collettiva…diventa epos a
pieno diritto”. Sottoscrivo. Tutto questo fa parte dell’epica, quando si lotta,
si combatte, allora facciamo ingresso nell’epica. E vorrei anche precisare - e
lo affermo alla luce dei miei versi - che non ritengo necessario un soggetto
antagonista contro cui combattere, che
si può lottare per un’utopia, per un amore, per morire alle trasformazioni e rinascere. E certo, bisogna
vincere la fatica, la paura, il dubbio, e allora bisogna combattere. Ma veniamo
alle “Questioni di stile”. Romanò afferma che “l’epica ruota intorno a…una metrica, a uno stile”. Ora sono d’accordo
sul fatto che “l’epica classica non sia un orizzonte insuperabile…/_..._/ …i
generi non sono statici e non lo è neppure l’epica”, ma stento ad essere d’accordo
quando afferma: “Esametri e anapesti non possono appartenerci oggi, perché
hanno il passo degli eserciti e degli eroi, battono il piede sul campo di
battaglia e portano su di sé il peso di una società patriarcale da cui abbiamo
cominciato a distanziarci.” Perché temo che qui si scivoli in piena formazione
reattiva, anapesti no per non avere il passo degli eserciti, così, insieme
all’acqua sporca (gli eserciti), buttiamo via anche il bambino (gli anapesti).
Buttiamo via anapesti, dattili, giambi, trochei e avremo buttato via i ritmi
base della musica della poesia! Quei mattoncini con cui si costruisce la
metrica, quei piedi che danno il passo al verso, che conferiscono l’incedere,
ora grave, solenne, ora squillante, martellante persino dell’epica, o gentile, leggero
del registro epico-lirico… Ma tanto è vero che ciò non è possibile, che proprio
i versi di Rabissi lo sconfessano.
RABISSI Qui,
infatti, abbondano i ritmi dattilici, fino all’esempio di verso dattilico più
compiuto che recita “fabbriche morte deserti affanni di uomini e donne” (e che
ricorda l’esametro dattilico, composto da 5 dattili + 1 trocheo), e dove non
mancano svariati attacchi anapestici (che in fondo sono dattili specchiati) come
“Si battevano ancora…” o “di lavoro è un pianeta…”, e dove non manca nemmeno la
dialettica tra ritmi discendenti/ascendenti di dattili e anapesti come ad es.
nei due versi susseguentisi “…lirici trasumananti si può (intonazione
discendente)/ misurare lo scarto se c’è…(intonazione ascendente)”; e dove soprattutto
non manca l’abbinamento di ritmi d’intonazione affine come ad es. dattilo e
trocheo, vedi il seguente verso “l’hanno sepolto, quanto è rimasto
dall’abbuffata” ( ciascun emistichio composto da 1 dattilo + 1 trocheo); in
particolare appaiono frequenti gli attacchi - quasi si direbbe - di adonio (1 dattilo + 1
trocheo) nella parte centrale del poemetto quando rispetto al lavoro servile
viene ammirata la naturale perfezione del lavoro animale “Che perfezione…”,
“striano il cielo…”, “fosse un lavoro…”, “sazie abbandonano…”, “fanno i castori
del loro ingegno…”.
Un’ultima annotazione riguarda la seguente affermazione di Romanò quando dice che nella seconda parte del poemetto “Il metro gira intorno al doppio settenario, seppure con movimenti interni ad allungare”. Francamente fatico a concordare con questa affermazione, essendo i pochi e tra loro slegati doppi settenari - (2 su 16) nella strofe presa in esame e (5 su 181) sparsi complessivamente nel testo - di natura troppo casuale per essere riconosciuti come cardini strutturanti un movimento. Quasi che il respiro dei versi di Rabissi aspirasse a un’altra ampiezza, a un’altra libertà…del resto, se il doppio settenario sarà la sua misura, sarà lui stesso a forgiarla.
Riassumendo, nel testo di Rabissi riscontro piuttosto una versificazione libera, di ampio respiro ma irregolare, con frequenti spezzature e cesure del verso in emistichi (che ricordano Pavese, il cui verso però è regolare) e componenti ritmiche ricorrenti – proprie (come rilevavo prima) del registro epico classico - che conferiscono un andamento disteso e meditativo, favorendo la discorsività con tono pacato e talvolta grave nel narrare le vicende travagliate del mondo contemporaneo.
Un’ultima annotazione riguarda la seguente affermazione di Romanò quando dice che nella seconda parte del poemetto “Il metro gira intorno al doppio settenario, seppure con movimenti interni ad allungare”. Francamente fatico a concordare con questa affermazione, essendo i pochi e tra loro slegati doppi settenari - (2 su 16) nella strofe presa in esame e (5 su 181) sparsi complessivamente nel testo - di natura troppo casuale per essere riconosciuti come cardini strutturanti un movimento. Quasi che il respiro dei versi di Rabissi aspirasse a un’altra ampiezza, a un’altra libertà…del resto, se il doppio settenario sarà la sua misura, sarà lui stesso a forgiarla.
Riassumendo, nel testo di Rabissi riscontro piuttosto una versificazione libera, di ampio respiro ma irregolare, con frequenti spezzature e cesure del verso in emistichi (che ricordano Pavese, il cui verso però è regolare) e componenti ritmiche ricorrenti – proprie (come rilevavo prima) del registro epico classico - che conferiscono un andamento disteso e meditativo, favorendo la discorsività con tono pacato e talvolta grave nel narrare le vicende travagliate del mondo contemporaneo.
Questa breve disamina mostra come i ritmi epici siano tuttora
vivi e attualissimi anche quando non sono più al servizio “degli eserciti e
degli eroi”, ma al contrario sono irraggiati da una vis combattiva necessaria a uscire da quella “società patriarcale
da cui abbiamo cominciato a distanziarci”. Allora i nuovi soggetti storici di
questo epos potranno essere i nuovi
schiavi della globalizzazione in cerca di liberazione dal lavoro servile, o le donne che intraprendono la discesa agli inferi
andando incontro al rischio di una profonda trasformazione. La musica epica
allora non sarà più solamente l’espressione di un nuovo linguaggio, ma anche la
forza interiore di un nuovo coraggio.
PAVESE Ma se
parliamo di epica nuova, almeno in Italia, non possiamo non ripartire da Pavese
che in pieno ermetismo e predominio della lirica inaugura la “poesia-racconto”,
dal verso cadenzato (“cadenza enfatica” come l’autore stesso annotava), dall’ampiezza
pacata, di lunga lassa narrativa. Quello di Pavese è un metro con andamento
cantilenante pressoché monotono (se non fosse per cesure e spezzature) che
contribuisce alla resa epica di lenta, tranquilla affabulazione. Concordo con
Curi che l’impressione complessiva di uniformità costante è garantita
dall’assoluta prevalenza del piede costituito da due sillabe atone più una
tonica; tenendo presente che a Pavese, poi, non tanto interessava il metro
quanto il ritmo, con una pronunciata inclinazione per quello ternario anapestico.
“Con Pavese – scrive Menichetti nel suo Metrica
italiana – il numero degli anapesti diventa variabile da verso a verso,
quasi sempre superiore a tre, in modo da assecondare l’andamento epico-lirico
del testo.” Ed è sempre Pavese a inaugurare i nuovi eroi e le nuove eroine
della moderna epica (prima di Pagliarani): contadini, contadine, prostitute,
vecchi, ragazzi… un mondo di personaggi medio-bassi, sprovvisti di contorni
tragici e della protezione di divinità, spesso socialmente o psichicamente
anomali, che corrisponde a fondare un moderno epos borghese-contadino che risulti congruo alla sensibilità della
società moderna e che Pavese preferirà chiamare “poesia-racconto”.
Personalmente, devo a Pavese quel ritmo cadenzato dei versi che è filtrato nei
miei primi passi di poesia per i vicoli di Perugia.
WHITMAN E veniamo
a Whitman. In relazione all’epica scrive Romanò: “Un nome si impone su tutti,
Walt Whitman, la cui versificazione libera (ma non sempre), mantiene dell’epos
l’incedere del verso, l’oralità implicita, il passo martellante a volte, in
altre più solenne. Ebbene, Whitman, è proprio il bardo di una diversa epicità
della versificazione, costituendo un modello lontano dalla metrica classica, ma
a pieno titolo interno a una visione allargata dei canoni…”. E qui torniamo al
distinguo iniziale: il Whitman poematico è anche epico? Secondo la tesi di
Pavese su Whitman, Foglie d’erba non
sarebbe poesia epica, ma volontaristica e programmatica “poesia del far
poesia”. Secondo Di Girolamo, nei versi liberi e lunghi di Whitman i ritmi
anapestici (presenti in Pavese) sarebbero assenti. Viceversa Manganelli, che
riprende Hopkins, così parla del ritmo whitmaniano: “Hopkins è anche
affascinato dal…ritmo; quei versi lunghi, molto lunghi, e irregolari. Qualcosa
che sembra sul punto di decadere a prosa ritmata; ma anche una vocazione
all’orecchio per la cadenza degli anapesti: «ben s’addice alla lingua inglese far
sì che l’accento cada sempre al termine del piede»: e Hopkins cita un verso che
pare emblematico…«or a handkerchief designedly dropped»….Come maestro verbale
sa modulare versi di suprema perizia – e intendo per l’appunto altissima
consapevolezza tecnica: «Whispers of heavenly death murmur’d I hear/ Labial
gossip of night, sibilant chorals».” Questi ultimi due versi sono senz’altro un
esempio di ritmo dattilico che oltre la spezzatura prosegue in cadenza
anapestica. Personalmente, tuttavia, ritengo il temperamento di Whitman troppo
vitalistico e prorompente per non essere il suo stile fondamentalmente vocato
alla libertà e alla estrema irregolarità. Predicatore itinerante o “bardo
profeta” - come da lui stesso dichiarato - della democrazia e della religione,
incline al “poema-evangelo” della fratellanza, dell’amore e dell’anima, è un esuberante
temperamento oratorio e certamente poeta poematico, ma quel che mi suggerirebbe
di propendere per il tono epico della sua poesia è la sua vis combattiva, vibrante: «…inauguro una religione e scendo
nell’arena,/ (e può darsi sia io destinato a emettere il grido più forte, gli
assordanti clamori del vincitore…)», moderno bardo «per qualche eroe, oratore o
generale…per qualche audace ribelle» di una epopea eroica e trionfante: «io, esultante d’essere pronto per
loro, farò sgorgar canti più forti e più superbi di quanti mai sulla terra
s’udirono.// Comporrò canti della passione, per aprir loro un cammino…».
A questo punto la poesia di Whitman meriterebbe davvero uno studio più
approfondito della sua metrica, a mio parere imprescindibile per valutare se la
sua vis combattiva s’incarni fino in
fondo nei ritmi dell’epica.
ROMANO’ Dal
cammino di Whitman al “diverso cammino” di Romanò, nel poemetto Veglia Europa (p.70). Qui “Un diverso
cammino”, che è già un anapesto, prosegue il suo incedere a ritmo ternario fino
ai versi finali “non ancora cultura (anapesto)/ al passo claudicante di sempre
(ritmo dattilico)”, laddove nella parola “claudicante” il valore semantico e
quello ritmico dattilico coincidono, rendendo il senso epico di una faticosa
conquista.
Quanto al poemetto Il ritorno, la struttura metrica di riferimento è endecasillabica, dove agli endecasillabi si alternano metri anch’essi dispari e dunque dinamici, quali novenari e settenari. Ciò che rende epica la versificazione sono i frequenti attacchi anapestici che imprimono un andamento narrativo disteso. In particolare vorrei segnalare una sestina, interessante per la sua figurazione circolare, in cui la metrica dell’ultimo verso ripete la struttura del primo verso: “Quando fui pronto|| me li vidi accanto/…/ prima che il freddo ||ti travolga e il peso.” In entrambi i versi, endecasillabici, abbiamo la presenza di due emistichi, il primo dattilico e il secondo anapestico, specchiati (come già abbiamo riscontrato in Rabissi).
Quanto al poemetto Il ritorno, la struttura metrica di riferimento è endecasillabica, dove agli endecasillabi si alternano metri anch’essi dispari e dunque dinamici, quali novenari e settenari. Ciò che rende epica la versificazione sono i frequenti attacchi anapestici che imprimono un andamento narrativo disteso. In particolare vorrei segnalare una sestina, interessante per la sua figurazione circolare, in cui la metrica dell’ultimo verso ripete la struttura del primo verso: “Quando fui pronto|| me li vidi accanto/…/ prima che il freddo ||ti travolga e il peso.” In entrambi i versi, endecasillabici, abbiamo la presenza di due emistichi, il primo dattilico e il secondo anapestico, specchiati (come già abbiamo riscontrato in Rabissi).
KEMENY Qui
vorrei solo ancora accennare al poema epiconirico di Tomaso Kemeny, La Transilvania liberata, cui dedicare
in futuro un maggiore approfondimento per diverse ragioni. Tanto per cominciare
per la sua struttura conchiusa di poema, con prologo, epilogo e dodici canti, e
la domanda che solleva se oggi sia ancora possibile scrivere un intero poema o
se, come ipotizzava Pavese, ciò non sia più possibile, dovendoci accontentare
di una poesia-racconto. Poi, per l’evidente riferimento (contenuto nel titolo) alla
tradizione, alla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, che pone l’interrogativo
non solo in che rapporto stia il poema di Kemeny, se in continuità o
discontinuità, con la tradizione epica, ma più in generale quanto l’epica
attuale sia erede della tradizione classica o quanto da essa si discosti e possa
dirsi epica nuova. Quanto alla
metrica -prendiamo ad es. il Prologo - tendenzialmente endecasillabica ma non
regolare, è un alternarsi di ritmi anapestici e dattilici che conferiscono
solennità al canto. E veniamo infine allo spirito del poema, che non certo può
dirsi epica di conquista, quanto epica di liberazione: dalla Città senza nome,
infatti, devastata dagli invasori (tutte le città della Transilvania hanno
perduto il loro nome magiaro), l’eroe ignoto si prepara a combattere gli
invasori di tutti i Paesi e di tutti i tempi.
GALZIO Per
concludere, desideravo aggiungere che il lavoro sin qui svolto non poteva non
sollevare in me alcune riflessioni sul carattere epico di parte importante dei
miei stessi versi, di cui vorrei proporre alcuni esempi.
1)Quando dicevo che la musica epica sarà la forza interiore
di un nuovo coraggio, pensavo alla forza emergente delle donne, alla poetica
delle Madri come fonte di una nuova civiltà che attraversa il mio La discesa alle Madri, pensavo alle
Madri di Plaza de Mayo cui dedico il ritmo anapestico “un tamburo battente
sulla piana” di “Madre corale” (dal mio La
discesa alle Madri, p. 25), pensavo a quanto l’amore dia la forza di
combattere…
«Sarò per te madre corale, correrò nel fuoco
non avrò tentennamenti, infingimenti
sarò la lotta libera, il campo incendiato
la frusta del grano nell'oro delle tempie
sarò un pensiero limpido, urgente
un tamburo battente sulla piana
sarò donne che scendono in scenario aperto
donne che avanzano sorgono frontali
sarò guerra per guerra scatto in combattimento
profondità di quinte, teatro naturale»
non avrò tentennamenti, infingimenti
sarò la lotta libera, il campo incendiato
la frusta del grano nell'oro delle tempie
sarò un pensiero limpido, urgente
un tamburo battente sulla piana
sarò donne che scendono in scenario aperto
donne che avanzano sorgono frontali
sarò guerra per guerra scatto in combattimento
profondità di quinte, teatro naturale»
2)A proposito del doppio settenario (o alessandrino)
ricordato da Romanò, nel mio “Ratto di Kore” (da Ishtar, p.66), l’incipit della poesia si è mostrato incline a uno
stile regolare e coeso della versificazione, la prima quartina essendo composta
interamente da doppi settenari che strutturano il testo conferendogli un
incedere epico-lirico grave e solenne, e dando vita a un’epica della discesa
agli inferi, metafora dei grandi processi di morte, trasformazione e rinascita:
“Scesi alla luce, perla, che allaga d’acqua il viso
Pronto a ritrarsi, d’erba, giù per il folto ventre
D’ossa e radici, intrico, soffice d’ocra e sangue
Passi di terra e oro incedere verso un trono”
Pronto a ritrarsi, d’erba, giù per il folto ventre
D’ossa e radici, intrico, soffice d’ocra e sangue
Passi di terra e oro incedere verso un trono”
3)In associazione al cammino della nazione americana di
Whitman, al “diverso cammino” di Romanò, e a quel cammino che forse più in generale potrebbe rivelarsi un topos dell’epica, a me è tornato in
mente il ritmo epico-lirico di un altro cammino, trasmutativo, personale e
collettivo presente in Ishtar (da
“Oro nero”, p.69):
“datti un tempo, datti un cammino (dattilico)
verticale e fra uguali (anapestico)
porta a un incedere di perle e fango (dattilico)
intere popolazioni ai loro templi…”
verticale e fra uguali (anapestico)
porta a un incedere di perle e fango (dattilico)
intere popolazioni ai loro templi…”
o ancora (da “Veste alata”, p.95)
“E un cammino di donne e piume (anapestico)
discende l’assolato versante dell’aria…” (anapestico)
discende l’assolato versante dell’aria…” (anapestico)
Se nei primi quattro versi il senso di una missione
spirituale si esprime con tono grave e solenne, quasi processionale, negli
ultimi due versi il ritmo anapestico epico-lirico ha la leggerezza della
visione. Anche qui l’epica è foriera di “un’utopia di liberazione dell’umanità
intera”, ma usa un tono leggero, gentile, lirico, e per questo amerei chiamare
la mia epica “un’epica gentile”.
IN SINTESI In estrema sintesi, quello che mi sento di affermare sul carattere
distintivo dell’epica oggi, a partire dai pochi esempi di autori presi in
esame, è quanto segue: che si sia perso sì l’andamento metrico regolare di una
forma chiusa, ma che non si sia perso il più generale andamento ritmico
ternario fondato su dattili e anapesti. Altrimenti ricadremmo nella più
indifferenziata narratività di una versificazione in prosa.
Insomma ciò che fa la differenza è la musica.
Insomma ciò che fa la differenza è la musica.
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