mercoledì 8 marzo 2023

Franco Romanò, inediti e non



Proponiamo i nuovi testi di Franco Romanò, perlopiù inediti, introdotti da una sua nota personale. Concludiamo così la rassegna finale di questo blog. Il quale resterà peraltro vivo per un'avventura diversa da quella iniziata nel dicembre del 2013 e che sta per concludersi con una iniziativa della quale terremo informati lettori e lettrici.

"I testi che seguono sono una minuscola antologia di testi da libri pubblicati e alcuni inediti. Un filo rosso che allude a quella che in questo libro abbiamo cercato di definire come epica nuova credo sia presente in tutto il mio percorso poetico, ma all’inizio del medesimo conviveva con altre suggestioni, ancora debitrici nei confronti della poesia lirica. Per questa ragione ho selezionato soltanto due testi dai primi libri pubblicati, dando maggiore importanza agli inediti. Fra questi la prime tre parti del poemetto finale Maremma, ancora in progress, come tutta l’intera sezione dal titolo Luoghi del cuore e di utopia, costituiranno la parte centrale di un libro che prima o poi sarà completato."

Da L’epoca e i giorni:

Viatico

 Le chiatte che sul Reno e la Mosella

scivolano lente e piatte, sembrano

dire fermati, non andare in fretta,

segui con noi la corrente del fiume

che lente ci porta alla nostra meta:

d'ogni legno conosciamo il peso

come un tempo i cavalli ogni pietra.

 
Noi lo guardammo insieme tutto questo

l'onda che s'increspa ne porta il segno

reclama a sé lo sguardo, lo trattiene e

schiaccia come quel carico pesante

che una fila di barche porta appresso

Oh poterle vedere quelle chiatte

risalire l'opposta direzione

vuote, intatte, pronte ad accogliere

di nuovo il nostro sguardo. Ma l'ansa è

lì che attende un'altra volta, lo scarto

minimo, così sembrava allora, un

semplice passaggio, ma nel salto

dal pontile qualcosa cadde in acqua

 
Neppure il tempo di voltarsi e già sul

treno che parte in fretta nella calca

delle mani che tremano festose

in mezzo alle bandiere di Franconia

tutto si mischia tutto si cancella,

la stazione toglie il fiume dalla vista

accelera il tempo lineare

corre via il convoglio verso

Coblenza, Mannheim, Mainz, Colonia…

 

 Da Veglia Europa:

 
1789-1989

La carta dei diritti

l'aldiqua luminoso

e poi l'assalto al cielo.

 
Il lampo centennale si spegne

annotta ed è il deserto

una polvere fine, invisibile

ha sommerso il sogno profano

la conoscono i passi dell'esodo

i millenni dell'oppressione.

I campi, le strade e le città

sono state la sua casa, ha fatto

paura ai potenti, trionfato e perso.

Il poeta della storia è un albatro

di nuovo ai ceppi imprigionato.

 
Scrivere un diverso statuto

sulla dura pietra di una fabbrica

richiedeva tempo e qualcosa di più

della fratellanza, del pane insieme

compagni...

                    ma tutto rodeva ai fianchi

del camminare goffo.

Ora in una gabbia che non ha sbarre

ma filosofie sofisticate e

insegne che piegano all'ignavia,

al nichilismo d'occasione

ai suoi poeti e falsi maestri narcisi

ad ali basse guarda la strada...

 
il sarto di Ulm continua a tornare

nei sogni, nel balenio improvviso

e risveglio dal sonno letale,

a dire che sì, si può

imparare a volare.

Lo abbiamo visto nella condizione

aurorale a ogni latitudine,

che fu un attimo

prima di nuove distruzioni.

Un diverso cammino,

a piedi in mezzo a una polvere che è

deserto e veleno, passo dell'esodo

e accampamenti

lontano dal cielo, nell'ora e nel qui

che stanno nella via di mezzo e noi

non più natura,

non ancora cultura

al passo claudicante di sempre.


INEDITI

Da: Le figure del dominio

Logistica 1

 Metaphoras hellenicas  è l'industria greca

dei trasporti, file di tir che depositano

le merci in magazzini sparsi nelle periferie.

A Milano sono in vie dai nomi fascinosi:

Dione Cassio, Isocrate, Procopio da Cesarea.

È un parallelepipedo in mezzo alla campagna.

Dal cortile un dedalo di porte, corridoi, antri

il magazzino dove uomini in smaglianti

tute rosse e bianche, stanno in piedi e urlano  

dai montacarichi, danno ordini ai radiotelefoni

si aggrumano intorno a pacchi e scatole di cartone.

I volti sono duri, sono i più picchiati

quando osano scioperare.

…....................................

“Qui lei non può entrare!” poi guarda fisso il mio piede

che ha varcato la soglia, il foglio me lo strappa

dalle mani e corre verso le tante discariche...

A Korogocho che significa  confusione,

i bambini si gettano nei liquami di Dandora,

la città  della spazzatura alza fumi al cielo

come preghiere al dio assente, le caverne sono

empori,  le gallerie case  e i bambini a volte

sembrano persino felici...

ma qui è tutto più pulito il magazzino  non ha

odore e gli involucri di cartone emanano

fragranze da libreria. Solo il rumore è assordante,

 un concerto di ferraglie e freni, soste improvvise

brusche ripartenze. Torna presto con il pacchetto

“Ma è una cinepresa ...”e il suo volto si scioglie

diviene  bambino fra nostalgia e dolore.

“Qui non si può filmare niente.”

Le mani si sfiorano e nel messaggio di segni

c’è un duplice passaggio di consegne ...

Parla e scrivi tu che puoi  disse l’anziana donna

ad Anna Achmatova nella fila in attesa di sapere

come lei, la sorte di un condannato…2

E la mano rimane sospesa, insegue

a distanza il pensiero; ma il tempo è breve

l’uomo corre verso altri cumuli di pacchi:

Milano, Nairobi, la condanna uguale, capitale.

 
Animali.

 Pinguini e orsi sanno

come si sta in comunità.

Commoventi nelle fogge, nel modo

di trattare i piccoli

hanno premure elementari.

Le femmine pinguino

vanno in cerca di cibo

tornano per sentieri accidentati,

i maschi covano le uova

se le femmine torneranno tardi

moriranno in molti. Gli orsi,

del gigante buono hanno tutto

e quelli bianchi una gioia semplice

di vivere. Giocano indisturbati

con il ghiaccio che si scioglie e

li ricaccia nel cuore del pak.

Che tutto intorno a loro crolli

è fato. Nessuno misura il danno,

sfuggono le loro vite al calcolo.

La morte individuale

è una sciagura per amici e cari

ma se si muore in molti

è solo materia per gli storici

statistica, numero potente

e forza calcolante di un congegno.

Per loro  la cui lingua è fatta

di acqua e fuoco aria e terra

è solo geroglifico e inganno

per noi animali senza coscienza

di specie, atomi, merci fra  merci.

 

Da Luoghi del cuore e d’utopia

 Verso sud: Calabrie

 Da questo mare e dai paesi alti

partirono in molti, uomini e donne

migranti. Ci veniamo d'estate e

nella casa labirinto si legge

Dante insieme al professore

si va in paese e si chiacchiera.

Tornano e hanno vite

da raccontare. La memoria

è saldare le mani

di padri e madri a quelle dei figli,

ma se si continua a partire

è nostalgia e solitudine.

 
“Ho combattuto in Vietnam ...”

 
È silenzio e sui volti sgomento...

e allora racconta di acquitrini

e mangrovie, di spiagge

bruciate dal fuoco, di case

incendiate, poi si ferma e si tace.

 
La notte di Hyde Park in centomila

e pochi giorni dopo

Johnson annunciava la fine

dei bombardamenti. Ci sembrò

di avere vinto una guerra

con mani di pace e aiutato

quel popolo dai grandi cappelli e

di volti bambini. Ma come dirlo

a chi là c'è stato e ha visto …

 
E tutto nasce da qui,

da questi muri che aveva dovuto

lasciare e ora resistono

alla furia del vento

come ali di una  folla silente.

Ora volano anche i bicchieri, le foglie

ci danzano intorno, sembra un presagio ...

Lui saluta e se ne va, noi

si rimane immobili, controvento.  


Latino Americhe: 

Lettera a Dino Campana

 Chissà s’era questo, Dino, il tuo porto strano

a Buenos Aires, di piccole barche e detriti.

La calle Caminito è alle sue spalle, l’avrai vista

se hai sentito ringhiare gli italiani, feroci

di miseria lungo la strada dei bordelli.

I tuoi occhi mi sembra di vederli, più pacati,

in pace con te stesso e il mondo, i piedi fermi

le mani meno protese alla difesa.

Forse i tuoi migliori anni  li hai trascorsi a Boca,

chissà se  ti piaceva il calcio, il Boca  c’era già.



Su questa terra hai vissuto più che scritto,

poche tracce tutte nei tuoi versi.

                                                   Chi vuoi che scriva

le biografie di carbonai e suonatori di triangolo

sulle navi, di gauchos  (sembra che tu abbia fatto pure questo.)…

 
L’errore, Dino, fu tornare: non era luogo

per te l’Italia. Quanto ti è costato lasciare

in quelle mani il libro. Come potevano capire

lui e l’altro? O forse capirono troppo,

ch’eri il più grande. Perdesti tutto un’altra volta

troppo disturbante la tua biografia

per professori di lettere,  non era tempo

di vite dedicate ad altro e dalle quali  il verso

sboccia arcano come un sovrappiù, il canto di chi

sa fare un po’ di tutto  ma è inadatto

a questo barnum  creato dagli dei o da nessuno.

Il ritorno fu il calvario. Qui qualcuno s’accorse 

del tuo passaggio. In questa terra di migranti

dove l’origine conta, ma non come radice,

hanno cominciato a leggerti e studiarti.

Quelli come te hanno il passo lungo e lento.

Buon giorno Dino nel nuovo mondo

quando il nostro sole finalmente tramonta:

è tempo di popoli giovani e poeti.

 
Maremma

1.

Dal treno risuona distorta la sequenza

delle stazioni. Si sa che la memoria è

selettiva, sorprende sentire la morsa

dell’oblio. Quando appare la Torre Mozza  

la scena ritorna amica, il treno rallenta

il filo si tesse a ritroso; ma il tempo

si prende i suoi diritti,  la movida indossa  

fogge diverse, per fughe amorose

e multicolori; ma la notte

adolescenti inquieti

inscenano guerre per bande:

il futuro  bifronte è arrivato anche qui.

Nel vecchio mercato coperto  

le luci sono sempre basse, un sortilegio

arresta gli orologi; eppure alla fine

quando si esce con l'agnello ben squadrato,

il pesce, il crudo tagliato al coltello, di nuovo

ritornano gli anni, i volti, gli aromi.

 
2.

La spiaggia è abbraccio che avvolge e spinge

i piedi a correre veloci, i mattini

sono gemme e il sole è forte alle otto.

L'acqua è una nicchia di onde che increspano

di manti preziosi la nudità delle amache,

le sedie, il cane assopito nell’ombra,

i bambini che giocano e nuotano.

Il vento fa risuonare fra i rami

l’eco di canti notturni, di feste …

Al tramonto i cavalli in fuga dai quadri

dei macchiaioli toscani erano miraggi …

Nei boschi più interni le miniere di ferro

e alabastro, i colori nobili mescolati

al fango. La miniera custodiva segreti

operai che difendevano in armi il lavoro:

era guerra e oggi è sgomento il suo ritorno.

 
3.

Cosa ricordare nel caos degli eventi?

Cos’è la storia? Qui gli umani vissero

prima che parola imponesse leggi scritte.

Il ferro  risuonava sulle incudini, il suono

faceva tremare  il canneto:

era lavoro e forgia,

arte covata nell’ombra dei gesti,

il bosco proteggeva e impauriva.

Questo è da ricordare ...

                                    Sono mai esistite

mani non ancora schiave? Uomini e donne

che tessevano lavoro senza aggettivi

esploravano e selezionavano erbe,

curavano il fuoco, non ancora sacro e

imprigionato dai sacerdoti, ma  sacro

solo perché fuoco e riscalda

come corpi in amore?

Qui la memoria vacilla, è polvere

e ipotesi sconfinanti nel sogno, eppure

sono quelle le mani da cercare

a cui rivolgersi in laica preghiera

in mezzo al deserto che ci circonda sì,

ma è deserto?…

 


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1 La discarica di Dandora a Nairobi è una vera e propria città nella città, creata dalle discariche abusive e che sono abitate da senza tetto e ultra poveri che vivono in mezzo ai rifiuti. La storia di questa comunità di disperati è stata raccontata anche da padre Alex Zanotelli che ha vissuto per anni con gli abitanti di Dandora.  

2 L’episodio cui mi riferisco è stato raccontato dalla stessa Anna Achmatova.