"Epiche - Altre imprese,
altre narrazioni" è il volume uscito nel 2014 per la casa editrice iacobellieditore.
Sono le curatrici stesse, Paola Bono e Bia Sarasini, nell’introduzione
all’opera, a porsi la domanda se esiste un’epica femminile: “Siamo partite da
questa domanda, semplice e quasi sconsideratamente ingenua, e subito siamo
andate oltre. Se è evidente la definizione stessa di epica a dover essere
indagata, nel procedere ci si imbatte in una oscillazione, o piuttosto uno
scarto, che sempre si
evidenzia quando entri in
gioco la differenza sessuale.
Perché se ci inoltriamo
nella via aperta dalla risposta positiva, ecco
che occorre chiedersi: in
quali scritture, in quali narrative prende forma quell'epica femminile di cui
cerchiamo le
tracce?”.
Questo volume è l'esito di
una riflessione che ha coinvolto un nutrito gruppo di studiose che ha
attraversato il tema dell’epica femminile sotto lo stimolo preparatorio di
lunghe discussioni, secondo competenze critiche specifiche.
A conclusione del libro
viene presentato un testo poetico collettivo (nato in relazione a un
documentario disponibile in rete al sito: www.ideadestroyingmuros.info/
videoarmsidea/pratiche-di-attaversamento).
Nella rassegna intitolata
POESIA E STORIA, tenuta nella libreria Bookshop Franco Angeli in Bicocca a
Milano nell’autunno del 2014, la terza serata è stata dedicata alla
presentazione del libro con la partecipazione di Bia Sarasini. L’attrice Laura
Vanacore ha letto il testo poetico che riportiamo qui. Dedicato alla ‘rabbia’
viene così presentato dalle autrici (di varie nazionalità): “Il tipo di
resistenze che viviamo si formano nella rabia, nella condivisione di
micro politiche everyday, di percorsi di
autocritica, personali e comuni, di auto-empoderiamento, di forme
di aiuto reciproco, di rete che usa internet come medio per comunicare
ma intesa soprattutto come fitta maglie di amicizie e di relations
d’amore - e di practicas artistiche, antropologiche e sessuali che
condividono la sperimentazione come strumento comùn”.
PRATICHE DI ATTRAVERSAMENTO
L’epica di noi
LA RABBIA
Flow I
La rabbia è un'origine
ha un'origine
a volte ne ha tante.
Due su tutte:
la figa di mia madre
E lo stato delle cose.
Il carattere naturale
O meglio normativo
Che le accomuna.
Mia madre e il suo sesso
Perché non ha capito
Il valore che ha,
La forza che ha.
Nata nel 49 era ribelle
per i canoni
Del piccolo paesino
Del Nord est
Dove viveva
Si è lasciata piegare
Modellare dal contesto,
Si è sposata
e ha seguito mio padre,
E il suo lavoro,
In giro per il mondo
Per ritornare
Dello stesso paesino che
Intanto
Era stato soggetto
A una rapida industrializzazione.
È ritornata
E si è spenta
Perché anche se tutto il
mondo è paese
Il suo paesetto era
La fossa della mediocrità.
Mi fa rabbia
Il suo essersi arresa
Allo stato delle cose.
Vengo da una famiglia piena
di
Contraddizioni.
Mio nonno con due lauree:
Una chimica chimica e
l'altra in fisica,
Ha scritto vari libri
Su come fabbricare
esplosivi,
Una passione sfrenata per la
pittura
L'inetta mia madre conserva
tutti suoi quadri lineetta
E una nonna dedicata
Agli orti, Ai campi e alle
mucche
Che ha aspettato mio nonno
Tantissimi anni,
Prigioniero in Australia.
Al momento della mia nascita
Mentre uscivo
Dalle viscere di mia madre
I medici dicevano
Che ero un bel bambino.
Ero grande e forte
E non sono qualità
Di un corpo donna.
Mi è sempre stato raccontato
Questo aneddoto
Chissà
Quasi per ricordarmi che
La qualità di forza e di
potenza
Sono una possibilità che
abbiamo
ma ci è legata.
Nella mia vita
sempre mi è stato chiesto
se ero uomo o donna
per un'apparenza
non tipicamente femminile.
In altri tempi
è stato un problema.
Ora è un'arma
di destabilizzazione.
Nell'ambiguità
vedo un'arma di lotta.
Fin da piccola
penso di essere stata
attraversata
dal modello stato nazione
barra estero
che ha diviso
attraverso una frontiera
e la lingua
un territorio che io
percepivo unito
in due opposti,
che ha separato
ciò che consideriamo casa
da ciò che consideriamo
nemico
e che ha diviso
violentemente
I miei ricordi davvero più
belli:
i colori
gli odori
le estati
le persone che amavo
tutto
gli amici.
E mi dispiace che di questo
insieme
non abbiamo parlato
abbastanza:
le mie estati da piccola,
sempre all'estero e sempre a
casa
sui ritorni a scuola in
Friuli ogni settembre
sulle differenze che mi
dividevano
dal resto della classe
irrimediabilmente
sul capire subito,
troppo presto,
che una lingua può separare
tutto
e sugli sforzi che ho fatto
per rimettere insieme
i pezzi.
Flow II
La mia rabbia
Inizia dall'infanzia.
Questa rabbia continua
persistente
senza fine
senza momenti di
respiro
ha origine nella
distanza,
nella lontananza
rispetto alle persone
che ho amato
e che amo.
E’ data dall’impotenza.
Ti vogliono fare
credere
che non ce la farai
mai.
Niente è possibile,
sei sola.
L’amore
probabilmente
ci sa nascere la rabbia
verso le ingiustizie,
non solo le nostre.
La rabbia che vivo
non riguarda un individuo
o un soggetto.
E’ fatta delle singolarità
con cui la condivido,
non riguarda soltanto il mio
genere.
Ho vissuto la rabbia in
forma ovattata.
Mi fa rabbia
l’omertà
il ben pensare
la vergogna
la chiesa
la necessità di una
sicurezza
economica e statale
fisica ed emotiva
mi fa rabbia la moralità
dilagante
il vecchiume
la moderazione
l’impossibilità di
un'autostima reale
la Storia.
Mi faccio rabbia io.
Il problema è che la rabbia
può rendere ciechi e inermi
lo sforzo è
Incontrare una
strategia
per resisterle e sfruttarla.
Se tutto intorno si presenta
come normale
allora va creato
artificialmente lo stato di emergenza.
a crearlo ci pensano i poeti
e io credo
come i poeti, siano gli
artisti.
Credo che dovremmo fare
paura.
Credo che dovremmo muovere
le basi
e farlo dal basso.
Lo spostamento di un’idea
da un corpo all’altro,
di un corpo
da un contesto ad un altro.
Non a caso
i gruppi di persone che si
uniscono
sotto una lotta comune
vengono detti "movimenti":
che agiscono
si spostano.
Flow III
Io mi sono dovuto spostare
da dove sono cresciuta,
dove l'unica prospettiva
è quella del guadagno.
Essere nata in Italia
e averci vissuto
per 24 anni
mi ha portato
a sentire
un profondo odio
verso un paese che non
capisco più.
Perché?
Ho coscienza della
limitazione
delle possibilità,
per mezzo della disciplina
della sofferenza.
Di un potere
che toglie
la consapevolezza
che ogni corpo sia
una potenziale arma di
cambio.
Decisi che dovevo partire
per allontanarmi da tutto
quello che mi era familiare.
Ho potuto cambiare
il concetto di patria
e delle mie origini,
l'idea di donna.
Città e persone
s’incontrano.
Ex:
estranei, espatriati,
stranieri.
Un'esperienza di
sradicamento
con la conseguente perdita
del mondo.
Da cinque anni godo
in Spagna
del privilegio che qui si
sta vivendo.
Per me è un territorio di
ricerca
e andrei in 1000 altri posti
se questo volesse dire
mettere in discussione
quello che faccio, sono,
Cerco.
Scegliendo di ripartire,
sono arrivata a Parigi:
come arrivare da nessuna
parte,
sprofondare in un vuoto
dove nessuna relazione
fa da sostegno
all'immaginazione
di una vita nuova, diversa.
Ho dovuto accettare
che qualcosa morisse
alle mie spalle.
Sostenere il suicidio
di una parte di me,
scommettendo sul vuoto.
Le frontiere che ho
attraversato
sono quelle invisibili
di chi gode del diritto di
viaggiare
ma ha perduto
il diritto all'ospitalità.
La persona,
o il governo,
che mi colpisce
mi appella come vittima,
vendendomi
diritti e doveri.
Io,
anche come donna,
non sono una vittima,
né una persona pacifica
e l'uso della violenza
contro la polizia
biopolitica
mi è vitale.
Non attendo diritti da
nessuno.
Credo che andare via
dal proprio paese
dal proprio Stato
o dall'abituale stato delle
cose
dovrebbe essere
un evento naturale
un processo vissuto
di forma volontaria
metodica
per aver modo di sviluppare
un maggior grado di ricerca
personale
multidisciplinare e
multiculturale,
un maggior grado di
esperienza
nel senso di
sperimentazione.
Attraversamenti:
che mirano a scalfire
quelle idee precise
escludenti o opprimenti
tramite le quali vorrebbero
controllarci e mantenerci
statici
radicati
e divisi
attraverso i modelli binari
Stato nazione/estero
uomo/donna
occidente/terzo mondo.
Non è in sé lo spostamento
che determina una
trasformazione.
Il soggetto non si distrugge
replicando il soggetto,
il genere non distruggere il
genere.
Lo spostamento
è una condizione
in me stessa
su me stessa.
Il corpo può diventare
un territorio di
attraversamento
solo quando si è capaci solo
quando
si è capaci di
desoggettivarlo.
Credo profondamente
nei corpi
che stanno insieme.
L'esserci
apparire e lo scomparire,
l’andarsene,
riapparire,
ricostruire,
mettere un punto,
sfuggire,
pensare alla fuga
tornare,
mettere un altro punto:
è una sorta di strategia di
rete.
Così diventiamo
incontrollabili.
Una strategia,
uno stato di coscienza
è il territorio carnale.
Il territorio visto come
ossa,
vene, ritmi e cicli
ossigeno, escrementi e
organi.
Le cellule del proprio corpo
si rigenerano ogni sette
anni:
io non ho mai vissuto
nello stesso corpo.
Un corpo vissuto
sensibile e recettivo
cosciente e parlante.
Per forza decostruito.
Che si riflette nel
territorio:
ci sono i grattacieli peni
le colline seni
le strade vene
e i tunnel ani.
Ricordi di colori o odori
che in qualsiasi posto
poi non riesci più a vivere.
Una sorta di nostalgia.
Quel paese rimane
nella memoria
di quando sei bambina.
La mia rabbia
la chiamerei esilio.
Da quando ho preso
la mia vita
in mano,
come prima
era impossibile
vivere in Italia,
per come sono ora
è impossibile tornare.
Tutti confini sono
attraversati da corpi.
Penso di essere stato
attraversata
dai confini
sin da piccola
e poi
tramite tutti
gli spostamenti territoriali
che ho intrapreso
insieme a voi, o da sola
o insieme ad altri e altre,
credo di avere iniziato
ad attraversare
io stessa
quel confine
che è il confine di ogni
Stato
e di fare di questi
attraversamenti
o di questi tentativi:
la mia pratica.
Non c'è struggle
senza amore, non c'è lotta senza risa, non c'è amour e risa senza
lotta e non c’è lucha senza possibilità di fuga.
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