24 febbraio 2015
Nino Iacovella ha partecipato al primo incontro della rassegna Poesia e Storia, tenuta lo scorso autunno alla libreria Franco Angeli in Bicocca di Milano e intitolata Novecento. La sua lettura ha riguardato la sua ultima raccolta di versi Latitudine delle braccia (di essa prossimamente avremo modo di parlare nella sezione Contemporanea). Lo stesso poeta ci ha regalato un suo commento sull'iniziativa e sulla poesia italiana che qui riportiamo.
Il movimento di lungo periodo
dell'arte poetica italiana di cui si è parlato negli incontri con Paolo Rabissi
e Franco Romanò ci ha fatto discutere sulla possibilità di individuare una
nuova forma di epica nella poesia italiana.
Così com'è intimamente epico, o
etico, il loro volersi estraniare dal coinvolgimento istituzionale del mondo
letterario, una scelta utile per isolarsi dal rumore di fondo di un ambiente
che, pur vissuto e analizzato, in parte si rinnega.
Una poesia da tempo incanalata
nel binario prevalente dell'autoreferenzialità lirica, quella italiana,
impregnata di una sorta di "poetica" che spesso non approda ad alcun
valore o sentimento universale. "Poetizza" sul proprio io senza
ambire, per volontà o mancanza di capacità, alle corde emotive del lettore. Una
forma di autocompiacimento senza la minima ricerca di un atto comunicativo che
spesso scivola, anacronisticamente, anche nell"iperletterario. Così come
la poesia "simulacro", ossia l'ostentata rappresentazione di una
certa idea preconcetta del sublime.
Voi rispolverate la poesia
"epica" per innestarla in questo contesto di lirismi predominanti. Il
compito è arduo ma doveroso; basta aprire gli scenari della poesia attuale,
farle respirare aria pura, nuova perché l'epica, oggi, non può prescindere
dalla realtà. Il poeta deve offrirci il suo sguardo attraverso la poesia, un
guardare e sentire il mondo che gli sta attorno ripropostoci con
"responsabilità creativa" attraverso il testo.
La poesia epica è eticamente
chiamata a comunicare.
E' molto bella la declinazione
che ne fa Lucianna Argentino, donna e poeta di grande sensibilità, che
attribuisce all'epica le vicende piccole ed eroiche delle persone semplici.
Epica, quindi, non come dinamica collettiva, di un popolo verso la sua storia,
ma come sommatoria di singole esistenze che quotidianamente affrontano le
difficoltà del vivere, quando in ognuna di queste permane quel senso etico e profondamente
umano, nonostante quel senso di spaesamento e di lacerazione valoriale dell'epoca.
Nel mio caso, nella stesura del
libro "Latitudini delle braccia" non ho avuto alcun progetto epico.
Ho voluto solo instradarmi verso una ricognizione della mia vita.
Autoreferenzialità? Non proprio. Perché ho vagato, per questo, nei posti al di
fuori di me per poterla andare a cercare: la strada, le piazze, i non luoghi.
Mi sono riconosciuto "osservandomi" attraverso gli altri. Solo così
mi è stato possibile capire quale fosse il mio contributo al rumore di fondo
del vivere collettivo, quello del nostro tempo. E questo vivere collettivo, che
mi comprende, l'ho trovato davvero poca cosa.
Per questo sono tornato indietro
nel tempo, per cercare un aggancio verso un vivere al quale potessi attingere
un esempio, un ideale, una abbraccio aperto verso l'altro, che troppo spesso
ora ci manca.
I testi sulla memoria della
guerra in Abruzzo, sulla resistenza, sono infatti un tentativo di ancoraggio
verso un periodo di grande solidarietà, eroismo e umanità nonostante la
barbarie. Basti pensare alle gesta della banda dei partigiani della Brigata
Majella che, dopo aver liberato la loro terra, l'Abruzzo, si sono affiancati
alle truppe alleate per risalire le Marche e L'Emilia per liberarle. Qui, per
me, vi è l'ultimo periodo della mia storia (mia in quanto storia della mia
gente) dove posso ritrovare una definizione classica di epica. Se ho trovato
poi una voce, un canto per rievocarlo con coerenza, forse per me è stato, nel
tempo, l'unico mio atto individuale e incosciente di epica. Se di epica si
tratta.
10 Novembre 2014
RIFLESSIONI
SUGLI ULTIMI COMMENTI AL BLOG
Prima
di tutto vorrei ringraziare tutti gli intervenuti che con le loro osservazioni
e spunti critici hanno rilanciato i contenuti che abbiamo proposto, ne hanno
avanzati di nuovi o sollevato altri interrogativi assai stimolanti. Ne raccolgo
alcuni, trasversali a molti interventi e uno che mi viene in particolare
suggerito dall'intervento di Paolo Borzi, quando al punto sette delle sue
riflessioni, dopo avere affermato che da sempre l'epica è sede di saperi
allotrii, si domanda quali sono quelli che oggi potrebbero interessare l'epica
nuova.
Il
primo che mi viene in mente è il sapere scientifico anche se non si tratta di
una novità assoluta. Lo ha già fatto Pagliarani, altri lo hanno sfiorato,
eppure mi sembra che il campo da esplorare sia qui molto vasto, ma necessiti
anche di uno spostamento di prospettiva. Guardando indietro nel tempo e anche
fuori dall'Italia, nomi di poeti e narratori che hanno celebrato la scienza
come impresa epica ne trovo diversi; dai grandi ai semplici
narratori-divulgatori come Jules Verne. Oggi, però, occorre una serie di
precisazioni. L'euforia positivista che nutriva molte di quelle narrazioni
resiste solo come ideologia e molto di quello che la pubblicistica ci indica
come scienza è solo tecnologia spacciata per verità assoluta, cioè una forma
moderna di teologia medioevale. Tutto ciò pone delle grandi difficoltà perché
da un lato il riferirsi di nuovo alle scienze implica la messa in atto di un
pensiero critico, ma dall'altro questo espone l'artista al rischio di
un'invasione di campo. Non si può parlare di scienza senza cognizione di causa,
lo si poteva fare per esaltarla, come nelle narrazioni di cui ho detto, oppure
per criticare la sua propensione faustiana ma anche questo oggi non basta più.
Chi si limita a denunciare ciò è destinato a non trovare alcuno spazio, oppure
a fuggire per la tangente verso l'irrazionalismo o il pensiero magico che sempre si accompagna ai momenti di
grave crisi sociale.
Più
in generale mi sembra che tutti gli interventi concordino con la necessità di
precisare ulteriormente, di approfondire, di stare nella contradditorietà dei
pensieri che accompagnano la poesia, come nella riflessione di Lucianna
Argentino, che condivido in larga misura con alcune precisazioni. Non si
stratta tanto di grande storia o meno, perché credo che abbiamo precisato che
l'epica nuova, o come si chiamerà, non ha al proprio centro la figura epica per
eccellenza (eroe o eroina), ma proprio le vittime silenziose o meno di quella
che un tempo si sarebbe chiamata epica. In questo senso raccolgo anche la
sollecitazione di Marcello Carlino sulla improponibilità dell'epica
tradizionale. Concordo, ma mi sembra interessante cercare di dire perché, pur
dando per scontata la sua improponibilità. Faccio allora due esempi precisi su
materie che erano il pane quotidiano dell'epica classica e cioè l'amore e la
guerra. Partiamo dalla seconda.
Quale
qualità eroica ci può essere in un combattimento che non avviene più da decine
d'anni ormai fra eserciti contrapposti, ma è sempre più guerra contro i popoli
e le popolazioni civili? Mi verrebbe da dire che l'epica si collochi solo dal
lato di chi non combatte ma ne subisce le conseguenze: un vero paradosso.
L'amore.
Dopo che le avanguardie del primo '900 hanno demistificato gli stilemi del
linguaggio amoroso e dopo che il femminismo ne ha svelato la parzialità
spacciata per universale, tutte le figure tradizionali come la musa, l'eterno
femminino ecc. sono in qualche caso cadute addirittura nel ridicolo, oltre che
mostrare di essere costruite su un immaginario del tutto avulso dalle donne
reali. Forse è fra le scritture poetiche femminili che si potrebbe indagare
sulle modificazioni dell'immaginario che esse esprimono o meno.
**********************
INVITO AL TERZO INCONTRO DELLA RASSEGNA:
POESIA E STORIA IN BICOCCA
QUARTO INCONTRO
QUARTO
INCONTRO.
LUNEDÌ
15 DICEMBRE ORE 18.30
LIBRERIA
BOOKSHOP
FRANCO ANGELI
VIALE
DELL'INNOVAZIONE,11 DI FRONTE AL TEATRO
DEGLI ARCIMBOLDI
NELLA PIAZZETTA RIBASSATAME
COME
ARRIVARCI? METRO LINEA ROSSA FERMATA PRECOTTO POI TRAM NUMERO 7 (DUE
FERMATE), LINEA 3 FINO A STAZIONE CENTRALE E BUS 87, OPPURE STAZIONE
FERROVIARIA GRECO PIRELLI CENTO METRI A PIEDI IN DIREZIONE DI VIALE
INNOVAZIONE.
MIGRAZIONI.
Presenta
Paolo Rabissi.
Leggeranno
i loro testi:
LUCIANNA
ARGENTINO E FRANCO ROMANÒ
L’attrice
Laura Vanacore leggerà
io testi poetici di
YANG
LLIAN.
Alla
fine della serata rinfresco.
INGRESSO
GRATUITO
27 ottobre 2014
Pubblichiamo altri due interventi che commentano criticamente i contenuti di questo blog.
Adriana Perrotta:
Il dato primo per
me è che il discorso smuove qualcosa, a livello di riflessione, quindi
centra il bersaglio, in un tempo di proliferazione insensata di parole scritte
e parlate.
E non poteva essere
diversamente, dal momento che le figure, i paesaggi, le situazioni che Epica
Nuova chiama in causa per un verso riguardano la nostra vita presente e
quotidiana, collettiva e individuale, pur con le dovute distinzioni di
condizioni socioeconomiche, di esperienze di vita e di pensiero, chiamano in
causa cioè la Storia e le storie, non enfatizzerei una netta separazione
tra l'una e le altre, perché si tengono in stretto collegamento, influenzandosi
a vicenda, come del resto ha mostrato con maestria Elsa Morante.
Per un altro verso
Epica Nuova tratteggia figure, rimanda a situazioni, delinea paesaggi,
esteriori e interiori, che abbiamo conosciuto con altri nomi e in altre epoche,
elementi che fanno parte del nostro modo di sentire, pensare, parlare, del
nostro immaginario quindi, comune oltre che artistico, che abbiamo appreso fin
dalla nostra venuta al mondo, nella comunità di parlanti alla quale
apparteniamo.
Allora il
cortocircuito si attiva immediatamente, senza bisogno di esplicitarlo; non per
tutt*, d'accordo, questo dipende in un certo grado anche dalle conoscenze
più o meno approfondite della letteratura e soprattutto dalla sensibilità
personale di ciascuno/a. In questo senso eviterei di essere didascalici, non
apporterebbe nulla, ma nuocerebbe in qualche modo appesantendo il blog in senso
dottrinale.
Quale la funzione
dell'arte nel sociale?
Domanda un po'
retorica, la risposta non può essere anticipata, semmai potrà essere
ricostruita dopo, dagli storici e dalle storiche dell'arte, dei costumi sociali
e antropologici di un'epoca, la risposta semmai riguarda i posteri, non i
e le viventi, che l'arte la vivono e la respirano, più o meno consapevolmente,
nelle molteplici forme nelle quali si presenta di volta in volta.
Marcello Carlino:
La vostra
iniziativa è particolarmente apprezzabile, intanto per le ragioni che espongo
di seguito:
a) la necessità di
ripristinare una scrittura che fuoriesca dagli ambiti della autoreferenzialità
per dimensionarsi più marcatamente e
più
responsabilmente nell'ambito della socialità e della politicità;
b) un ripensamento
dell'apparato di produzione della letteratura - dico con Benjamin - che
implichi un riposizionamento dell'autore
nonché una
riqualificazione dei mezzi di comunicazione letteraria e di interazione
culturale;
c) l'impulso alla
rielaborazione critica e alla progettualità della poesia, per tanto tempo
accantonate;
d) anche nella
prospettiva di cui al punto c) una rilettura tendenziosa della tradizione e,
nella tradizione, il privilegiamento
di una linea
minoritaria ma oppositiva, minoritaria proprio perché oppositiva.
La proposta dell'
"epico", al di là della terminologia adoperata più o meno
condivisibile epperò strumentalmente assai utile, va però
discussa e
approfondita - ed è naturalmente ciò che voi intendete fare augurandovi una
incoraggiante partecipazione; sulla mia, nei tempi
per me possibili,
contateci pure - anche perché occorre distinguere la nuova parola-progetto e
comunque determinarla in rapporto:
- ai fondamenti e
ai modi dell'epica classica e della sua tradizione, oggi irrecuperabili;
- alle forme di una
dicibilità e di una cantabilità di taglio realistico/predicatorio o
quotidiano/minimalista altrettanto irrecuperabili;
- alla new epic che
ha segnato, con qualche semplificazione e con qualche contraddizione di troppo,
il dibattito sopra la narrativa
recente;
- la postulazione
tuttora aperta, e tuttora da rivisitare, della allegoria.
*************26 0ttobre 2014
Riprendiamo oggi a pubblicare i commenti che in questi mesi dall'uscita del blog ci sono giunti.
Ringraziamo con calore autori e autrici. Nel nostro progetto contiamo di poter avere prossimamente un incontro con tutte/i.
Antonino Contiliano:
A suo tempo ho letto il testo della
nuova epica dei Wu Mi, e molto sinceramente, come nelle tue e mie aspettative,
spero che la "diepicanuova" (di epica si interessa e conosco anche
l'iniziativa di Gianmario Lucini, edizione CFR) segni un taglio netto e, come
in Foucault (L'ermeneutica del soggetto) la nuova etica (la cura del sé privata
e pubblica), non sia scissa dalla critica politica e dall'economia politica che
le identificazioni in corso impongono all'agorà vecchia e nuova. Certo è che il
quadro dei "dispositivi" di disciplina e controllo biopolitici (da
Foucault messi in luce), egemonizzato dal biopotere capitalistico, non ha
sminuito le analisi materialiste di Marx, bensì ne è un arricchimento e un aggiornamento.
Del resto quelle prime analisi non conoscevano le tecniche della meccanica
quantistica e l'economia digitale della globalizzazione, ma ne avevano
preannunciato l'arrivo. La "diepicanuova" ha davanti queste
sfide. Facciamo in modo che sia una sfida e una testa d'ariete? Il mio primo
impatto, dalle poche cose lette, sull'iniziativa del blog è positiva e di
fiduciosa.
Donato di Stasi:
Ho letto con attenzione la
presentazione del blog. Concordo in larga parte, ma
voi aprite discussioni amplissime, interi mondi culturali e antropologici si affollano nella mente e reclamano comprensione. Sono argomenti da meditare a lungo, primo fra tutti il senso dell'epica, la sua attualizzazione in un tempo che sembra poter fare a meno della letteratura in genere. Sono felice di poter portare il mio contributo, lavorando su Pagliarani e sui suoi testi: è un autore che amo particolarmente, poi mi citi il sublime Walcott (come si fa a non scrivere qualcosa su di lui?)
ai prossimi aggiornamenti.
voi aprite discussioni amplissime, interi mondi culturali e antropologici si affollano nella mente e reclamano comprensione. Sono argomenti da meditare a lungo, primo fra tutti il senso dell'epica, la sua attualizzazione in un tempo che sembra poter fare a meno della letteratura in genere. Sono felice di poter portare il mio contributo, lavorando su Pagliarani e sui suoi testi: è un autore che amo particolarmente, poi mi citi il sublime Walcott (come si fa a non scrivere qualcosa su di lui?)
ai prossimi aggiornamenti.
Carissimi, il libro qui sopra linkato, prefato
dalla Cancellieri, ci dice bene quanto sapevamo: gli impiegati, ovvero
proletari borghesi, hanno fatto la migliore letteratura moderna, in specie il
Romanzo. Quale “classe”, se così potrebbe essere ancora il caso di dire, farà
l’Epica Nuova? Il Romanzo, a sua volta,
nasce dall’alveo avventuroso dell’Epica, il lato ulisside della medaglia
omerica, e il Bretone di quella medievale francese.
Ora, l’ Epica nuova, cosa dovrà al
Romanzo moderno e cosa all’antecedente omerico e bretone avventuroso? e cosa
poi al lato “tragedia” (Iliade e Canzone d’Orlando) dell’epica greca e
medievale? Qualcosa poi forse dovrà anche alla poesia “frammentata” moderna?
Questo genere di considerazioni ci portano dentro la parte mancante dei vostri discorsi,
che sono bellissimi e tutti condivisibili, e mi hanno davvero emozionato.
Articolo mancante 1): genere letterario dell’Epica Nuova.
Facile rispondere: poema epico nuovo. Siamo sicuri? Per me, il Poema Epico
antico è la summa a monte di tutti i generi letterari possibili; il Poema Epico
nuovo potrebbe essere una sintesi a valle, forse. Di certo non alludo a una
soluzione necessariamente unica.
Articolo mancante 2): struttura tragica e-o no di detto poema(sopravvivenza-o
meno- delle famose “unità”, di preamboli, nodi e scioglimenti etc.).
Articolo Mancante 3): lato psicontico. Questo particolare lato riporta vari depositi magico-avventurosi dell’ Epica Tradizionale, in una parola al Folklore, allegorico ed esistenziale. L’epica Nuova ha un Nuovo Folklore? (argomento magistralmente sfiorato da Paolo Rabissi quando allude alla “separazione” del fiabesco e suo relegamento all’ infanzia) etc.
Lato mancante 4): assetto della versificazione. A fare
l’Epica Nuova sarà più l’argomento o il “tono”. Il primo, senz’altro (alto,
drammatico, collettivo, nobilmente “guerresco” tra Bene e Male), ma solo in
presenza d’un secondo elemento che gli sia adeguato (tenuto, lungo, ondoso,
breve, sincopato, misto, etc.?). Subito dopo viene il problema della metrica, che
è secondario a questo tipo di scelta base.
Lato mancante 5): Epica Concettuale e Riscritture. Siamo
sicuri che Ariosto e Tasso siano superati? Forse sì, ma interessante sarebbe
(è) scavalcarli all’indietro. Il Ciclo Bretone, ad esempio, è una immane Tragedia
(sia come storia ispiratrice che come ossatura base) su cui non è mai stata
fatta una singola Tragedia, se non dagli sceneggiatori moderni e dal
sottoscritto (poema epico a “riquadri”, non a caso, per buttarla maggiormente
lì, sul teatrale). Uno dei risvolti “moderni” di questa operazione, che mi è
balzato mentre lo producevo, è il “setaccio” dei depositi aurei, o, per meglio
forse rendere, il disseppellimento dello “psiconte-tartufo” dalla mota delle
convenienze e sconvenienze modali del proto romanzo basso medievale. Poi, la
“messa in evidenza” dello psiconte e la stringatezza modale della poesia
moderna, con distillazione audiovisiva dei tempi, delle cose, e dei movimenti
(la “cinematografia sentimentale” di campaniana memoria). Riconosco in Paolo
Rabissi forse l’unico-insieme al prefatore- che ha inteso interamente le
cose come volevo fissero intese. Per fare sette punti, ne mancano due,
direttamente richiamati da questo.
Lato mancante 6): misura delle “stanze”, ovvero
ottava rima, alias riproponibilità di stilemi appartenenti a un “popolo
remoto”. Il discorso ovviamente è sfumato, può riferirsi a un rapporto di
ispirazione, rivalorizzazione, riguardante i “brani dei brani”, le “stanze”
come piccoli circuiti nel Grande Circuito etc. Personalmente, quanto ho
rilevato dell’ottava provandola a “sfruttare” in questa direzione, è
stato un adeguato funzionamento, sia rispetto l’intento “cinematografico” di
cui sopra; sia rispetto la capacità di compendiare efficacemente i versi brevi
all’interno, e di modulare narrazioni e moti lirici attraverso l’uso anche
quasi esagerato dell’ enjambement.
Lato mancante 7): Saperi allotri. L’Epica è sempre stata
un deposito di saperi non-poetici. Quali i privilegiati dell’Epica Nuova?
Facciamo 8 per scaramanzia ottavaiola.
Lato mancante 8): dialettica “Servo-Padrone” per un
marxismo critico che finalmente creda fin nelle midolla che il sapere è
roba da subalterni. Poco o forse nulla è stato colto, dal noto
passo della Fenomenologia dello Spirito, che possa riguardare i discorsi che
stiamo facendo. Il “Servo”, in realtà, tenendosi stretta la morte vicina, ma
anche affrancandosi e nobilitandosi col suo lavoro, apre l’Avventura del Sapere
e il Sapere dell’Avventura. Sottoproletari antichi e proletari borghesi furono
gli “eroi” (sarei tentato di togliere le virgolette) di quelle meraviglie che
chiamiamo poemi antichi e grandi romanzi moderni. Ora, gli eroi possiamo pure
toglierli sia dai contenuti, sia dai loro ideatori. Ma l’Epica resta, e mi pare
che quanto andiamo dicendo possa esserne una conferma.
Al contrario di Voi accennerò in coda
alla mia produzione, che sia sul rapporto col Romanzo moderno (le
Sciamanicomiche), che con nuovi generi letterari (Nuovostilvecchio), che con
“riscritture concettuali” (la Materia di Britannia), non fa che dimostrare la
millimetrica coerenza con le mie convinzioni. Circa l’opera prima (il Trivio
dell’Innocenza) ritengo che la scalcinata “epopea”-in endecasillabo
ottaveggiante-di Pasquale Bricci, morto suicida forse per la retrocessione
della sua squadra del cuore, appartenga-almeno spero-a un presagio di epica
nuova, piuttosto che al calco dell’eroicomico, proprio per essere il
protagonista un borghese emarginato senza volontà di potenza ma anche nobiltà
subalterna: Eros e Thanatos lo spiaccicano dunque in una morsa rapidissima,
preludendo, attraverso Frate Indovino (ciclicità sacrale e rurale sperimentata
da una sorta di Bricci sopravvissuto) e alle metanoie del “Corbezzolo
Lucumonico”, a una sorta di riscatto neo-folklorico e anch’esso dunque neo
epico.
Vi abbraccio forte e vi ringrazio
entusiasta per questa iniziativa
Paolo Borzi
Caro
Franco,
ho
letto con attenzione quanto dite tu e Paolo Rabissi e per cominciare posso dire
che è da un po' che anch'io sto riflettendo su quale poesia sia necessaria
oggi. Tuttavia mi dico pure che forse è un falso problema perché la gente va
comunque al cinema, alle mostre d'arte, a teatro, ai concerti (sì è vero un po'
meno alle letture di poesia) e che dunque l'arte è necessaria, risponde a delle
esigenze profonde dell'animo umano che vanno oltre le preoccupazioni per il
futuro, per la crisi economica. Insomma risponde a delle esigenze che
prescindono dal periodo storico. Che la poesia è comunque e sempre necessaria
qualsiasi volto essa abbia. Ma queste sono tutte considerazioni ovvie e banali.
Però è pure innegabile che i tempi che stiamo vivendo ci pongono davanti a
delle istanze che non possiamo ignorare. Dal mio balcone al sesto piano che
affaccia su un mercato rionale nel pomeriggio, prima che arrivino gli operatori
dell'Ama, vedo poveri cristi e gabbiani contendersi frutta e verdura rimaste a
terra e mi chiedo quale poesia potrei leggere a quella persona? e che
penserebbe? mi manderebbe a quel paese? penserebbe che la sto prendendo in
giro? o magari ne sarebbe contento? Addrizzerebbe la schiena e starebbe ad
ascoltarmi? Subito dopo penso a Neruda, a Neruda che va a leggere poesie ai
minatori cileni che lo ascoltano, si commuovono, li recitano a memoria e non credo
che gli leggesse poesie sulle terribili condizioni in cui vivono i minatori
altrimenti credo proprio che lo avrebbero cacciato a pedate nel sedere! Sulla
poesia ho delle idee contraddittorie, forse è l'unico modo di avere idee sulla
poesia. Un mio amico dice che le poesie dovrebbero essere pietre, io gli ho
detto ok, ma non per lapidare semmai per smuovere le acque stagnanti della
nostra coscienza (anche se ogni
tanto lapidare – a parole - qualcuno sarebbe cosa buona e giusta. ma la
bellezza poi, mi chiedo pure, dove finisce? non muore assieme al lapidato?).
Poi mi dico che il poeta deve essere un po' rabdomante e cogliere le esigenze
della gente, un medium che viene a contatto con lo spirito del tempo che gli
suggerisce cosa è necessario scrivere in quel momento. Ma il poeta deve seguire
le necessità del mondo o le proprie? E la poesia parlando a tutti i
livelli dell'essere non è in
qualche modo sempre attuale anche se non è contemporanea? E le proprie necessità
non sono poi quelle del mondo, visto che pure il poeta vive nel mondo e non
sulle nuvole come pensa qualcuno? Voglio dire che la poesia non può essere
slegata dal proprio tempo, perché non lo è il poeta che la scrive anche se sì
Pasternak si affacciò alla finestra e chiese ai bambini che giocavano “Miei
cari, qual millennio è adesso nel nostro cortile?” ma certo la sua domanda alla
vigilia della rivoluzione del 1917 ha l'aspetto di una premonizione, di un
pre-sentimento dell'andamento dei tempi e dunque testimonia di quanto egli
fosse e sentisse il tempo in cui stava vivendo. Ultimamente mi è capitato di
avere la tentazione di chiedere alla prima persona che avessi incontrato
“scusi, lei cosa si aspetta dai poeti?”. Io certo non scrivo per gli altri, né
scrivo ciò che penso possa piacere e/o interessare agli altri e penso che
nessun poeta serio lo faccia. Scrivo perché non posso non scrivere come diceva
di sé un poeta ben più grande di me come è Marina Cvetaeva. Riguardo ai
ripiegamenti esistenziali in effetti sì il rischio di parlarsi addosso c'è ed è
quello che temevo io con Diario inverso, invece poi a quanto pare pur
parlando/raccontando di fatti personali è accaduto che le persone ci si sono
riconosciute, e così mi è capitato durante alcune letture quando qualcuno alla
fine è venuto a dirmi che quanto avevo letto corrispondeva al suo sentire, che
avevo espresso quanto provava ma a cui non era riuscito a dare le parole
giuste. Ecco forse è qui la questione. Trovare le parole giuste. La poesia è
questione di esattezza e di verità questo la gente lo sente e riconosce la
poesia perché la poesia è fatta di parole e deve parlare non sproloquiare,
anche questa sembra una banalità, ma in fondo non lo è. Sto rileggendo in
questi giorni “L'angelo necessario”
e mi piace quanto dice Stevens a proposito della poesia che ci aiuta a
vivere la nostra vita, che ne esalta il sapore. (Ma concordo con lui anche
quando dice che il soggetto del poeta è la sua idea del mondo) Penso sia
capitato a più di qualcuno che in un momento buio della propria esistenza la
lettura di una poesia sia stata d'aiuto, abbia portato un poco di luce, di
conforto (così come l'ascolto di una musica, il godimento di un'opera d'arte),
ma sia pure stata di illuminazione, di maggiore consapevolezza perché la poesia
come dice ancora il mio amico
poeta e io con lui è un seme, ma mi piace immaginarla pure come un batterio buono, un globulo bianco, che attacca
e cerca di sconfiggere le tante malattie che minano la salute dell'anima. Durante la mia adolescenza leggere le
poesie di Leopardi, di Ungaretti e pure di Tagore mi faceva sentire meno sola e
meno ostile quel mondo che mi si parava davanti e mi strappava all'infanzia. Ma
tornando alla necessità di una poesia epica che torni a guardare alla Storia
(per quanto riguarda il nuovo che chiede di essere nominato la poesia lo fa, lo
fa tutta la poesia), volevo dirti che ho una cara amica di sinistra che partecipa a tutte le
manifestazioni - in qualsiasi città si tengano, lei prende e parte - in difesa
di quei diritti umani in cui tutti crediamo eppure io no, non ho mai
partecipato a nessuna manifestazione e pensavo di contro alla mia esperienza di
volontariato alla Caritas e a quella della distribuzione del cibo ai senza
fissa dimora che vivono nelle stazioni qui a Roma e riflettevo sul fatto che è
quest'ultima la dimensione che mi si addice maggiormente. Che io devo guardarlo
negli occhi l'altro, il disgraziato, lo sventurato, lo devo toccare, gli devo
parlare e che dunque se gli ideali non si incarnano in persone concrete faccio
fatica a viverli. E così per la poesia. La Storia con la s maiuscola mi
interessa fino a un certo punto, mi interessa di più la storia con la s
maiuscola delle persone che non hanno voce o l'hanno flebile. Allora la poesia
amplifica la loro voce, questo sì ed è quello che ho cercato di fare nei
poemetti di “La vita in dissolvenza” di cui parlavamo in quel bar di via
Giulia. Poemetti/monologhi, come li ho chiamati, in cui ho dato voce a donne la
cui storia è sconosciuta ai più, in cui racconto un momento cruciale della loro
vita su cui altri possono emozionarsi, riflettere, ritrovare una parte di sé.
Ho
scritto queste righe di getto e me ne scuso ma ci tenevo a condividere con te i
miei pur confusi pensieri, scritte quasi di getto e perdonami alcune
ingenuità scrivo mentre penso
mentre di solito scrivo dopo aver pensato anche se scrivere e pensare la
scrittura è un validissimo alleato del pensiero, a volte si tira dietro dei felicissimi pensieri, delle
illuminate intuizioni.
********************************************************************26 ottobre 2014
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16 giugno 2014
Mi accorgo ora che la mia riflessione precedente del 17 gennaio è lontanissima. Nonostante le ripetute intenzioni di incrementare questo spazio sia io che Romanò non siamo stati puntuali. Ma la ragione c'è e sta tutta nella crescita del discorso sull'epica e soprattutto sulle iniziative che oltre a questo blog abbiamo attivato.
Anzitutto le due presentazioni di blog e autori avvenute rispettivamente ili 4 e il 14 giugno, quindi appena alle spalle.
Una considerazione s'impone: abbiamo trovato un luogo per queste nostre iniziative, intendo anche le prossime, che più idoneo all'epicanuova non poteva essere. Tanto che, come l'epica (ma questa per ora è una battuta), in realtà si tratta di un non-luogo nella definizione più classica che ne dà Marc Augè. E lo dico pur sapendo che l'espressione è già bruciata dall'uso (by the way: consumiamo velocemente modi di dire ma il problema è che il consumo brucia anche il senso profondo del significato che invece meriterebbe di durare nella mente!). Si tratta della libreria Bookshop Franco Angeli alla Bicocca di Milano. Proprio di fronte al teatro degli Arcimboldi. Qui, in una piazzetta sottostante il livello della strada comunale si distende una piazzetta sulla quale insistono palazzi di nuova costruzione, di fattura modernissima e gradevole di colori e posture. Sembra di essere a Berlino. Con la differenza che nella piazzetta schiamazzano bambini e bambine come ormai non è dato vedere mentre a Berlino in ogni piazza ti devi aspettare di veder sbucare all'improvviso una nuova metro.
Qui è successo che un primo ragionare pubblico sull'epica ha trovato consensi e creato aspettative. Più di quanto pensassimo. Merito dunque della direttrice della libreria, Giulia Miele, che ci ospita, merito dei nostri due attori (Laura Vanacore e Ulisse Romanò), merito delle letture da loro fatte di autori per noi molto significativi (sono nel blog nella sezione: Testi manifesti): K. Hesse, D.Walcott, E. Pagliarani, V. Sereni, C. Pavese, J. Insana.
Merito infine della rivista Semicerchio che ha dedicato a Poesia e lavoro un numero monografico ricchissimo di testi molto significativi sia di poeti/e che di natura critica. I due critici accompagnatori e presentatori, Michela Landi e Andrea Sirotti, hanno spiegato le loro ragioni che non sono lontane dalle nostre e la riprova è arrivata dalle letture di propri testi da parte di Alessandro Broggi e Edoardo Zuccato. Sia chiaro però da subito: nessun 'arruolamento' nella poesia epicanuova. Non è questo che ci interessa. Ci fa piacere invece constatare, e di ciò vorremmo discutere, che ci sono temi e forme che si articolano profondamente nella poesia italiana che hanno preso la distanza dall'indistinto della lirica postmoderna, dagli abissi narcisistici dell'io, dal minimalismo di pensiero e riflessioni e delle loro sfumature (ché si pretendono nietzchiane e invece lo sono del nulla). Noi crediamo insomma nella tensione tra Poesia e Storia. Su ciò stiamo lavorando, nel senso che in autunno daremo vita a un ciclo di incontri che avranno come tema di fondo Poesia e Storia.
17 gennaio 2014
Incontro con Anna Santoro, poeta, scrittrice, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo: La nave delle cicale operose.
Perdonerà l'autrice se qui non parlerò del suo libro, peraltro commentato e presentato nel pomeriggio allo spazio scopricoop di via Arona da Franco Romanò. Commenterò qui invece la risposta che lei ha dato alla domanda di uno dei presenti all'incontro che suonava pressapoco così:
- Ha senso assegnare alla sua attuale scrittura una consapevole tonalità epica?
Alla domanda, proveniente dal pubblico, la scrittrice ha risposto con una chiara presa di distanza.
- Nessuna volontà di epicizzare la mia narrazione, ha concluso, la parola 'epica' è una parola troppo invasiva, pericolosa, fa persino paura e soggezione.
Le cose credo che stiano proprio così. Nell'immaginario comune la poesia e la scrittura epica sono legate ad avventure mirabolanti, conquiste di vette spirituali o materiali tra eroi ed eroine, guerrieri e guerriere, miti e rituali e magari magie, mostri e conquiste di altri mondi.
A dirla tutta sembrerebbe che dell'epica siano in grado di dare una versione moderna solo i fumetti, il cinema, la televisione e i giochi elettronici: che non è poco! C'è un intera galassia epica conquistata dai media e dal commercio.
La parola è compromessa, come tante. Ma a noi qui interessa in particolare il versante della poesia.
Depurata dalle incrostazioni ideologiche e mercantili è possibile oggi parlare di una poesia epica senza scomodare da una parte l'Iliade e l'Odissea o Ariosto e Tasso e dall'altra Walt Disney?
C'è spazio, c'è traccia nella modernità di una poesia epico-lirica che senza rinunciare alla nostra amatissima poesia lirica abbia anche un legame stretto con la Storia del nostro recente passato e con le convulsioni del nostro presente, caotiche ma anche ricche di patrimoni?