EDITORIALE.
(At the bottom of the page the Editorial in english)
Le ragioni per cui ci avviamo a questa impresa hanno
a che fare con un modo d'intendere la poesia oggi e anche col rimettere in
circolo una parola che in Italia è diventata da tempo un tabù impronunciabile:
epica, termine contenuto nel nome del sito, cui, tuttavia, l'aggettivo ‘nuova’
conferisce una qualificazione imprescindibile. Non intendiamo, infatti,
coltivare la nostalgia di una tradizione e neppure semplicemente riferirci al
sentimento epico
che accompagna la storia umana fin dalle sue origini, ma cercare di definire i caratteri che oggi una scrittura poetica epica necessita di possedere. Ciò che ci spinge a farlo è prima di tutto la nostra poesia, che ci sembra vada da tempo in quella direzione, ma anche la convinzione che un ripensamento del genere epico in forme nuove sia maturo e necessario. Il bisogno di lasciarsi alle spalle i giochi linguistici pirotecnici del significante e/o i ripiegamenti esistenziali per rivolgersi positivamente alla ricerca di una poesia che torni a guardare alla Storia, alle sue tragedie ma anche al nuovo che chiede di essere nominato e che c'è, riscoprendo anche la possibilità di narrazione in versi, ci sembra nello spirito dei tempi.
che accompagna la storia umana fin dalle sue origini, ma cercare di definire i caratteri che oggi una scrittura poetica epica necessita di possedere. Ciò che ci spinge a farlo è prima di tutto la nostra poesia, che ci sembra vada da tempo in quella direzione, ma anche la convinzione che un ripensamento del genere epico in forme nuove sia maturo e necessario. Il bisogno di lasciarsi alle spalle i giochi linguistici pirotecnici del significante e/o i ripiegamenti esistenziali per rivolgersi positivamente alla ricerca di una poesia che torni a guardare alla Storia, alle sue tragedie ma anche al nuovo che chiede di essere nominato e che c'è, riscoprendo anche la possibilità di narrazione in versi, ci sembra nello spirito dei tempi.
Il sito è articolato in cinque rubriche. La prima,
che abbiamo chiamato TESTI MANIFESTI, è di testi di autori che noi riteniamo
emblematici per il percorso che intendiamo compiere: sono classici a cavallo
fra '800 e '900, e poi novecenteschi, italiani ma anche non italiani (con testo a fronte), con una nostra nota critica. La seconda, intitolata MULTIVERSO, sarà una
rubrica di poetica nella quale cercheremo di mettere a fuoco le ragioni delle
nostre scelte. Una terza, CORALIA, sarà dedicata al contesto in cui questa
proposta va a calarsi e quindi avrà un intento anche critico. Seconda e terza rubrica affrontano i temi di
discussione perlopiù nella forma del dialogo, quale si è configurato nei mesi
di preparazione. Nella quarta rubrica, CONTEMPORANEA, pubblicheremo
poesie di autori e autrici contemporanei/e, compresi i nostri. Tutte le rubriche sono un 'lavoro in corso' e dunque verranno via via arricchite. Infine nella quinta, RIFLESSIONI A MARGINE E COMMENTI, pubblicheremo le critiche le sollecitazioni e i commenti che ci verranno prposti da lettori e lettrici.
L'intervista a Derek Walcott, con cui inauguriamo la
nostra impresa, fu pubblicata nel 2002 dalla rivista Poiesis. La riproponiamo qui perché nelle sue risposte il poeta di St. Lucia rimette in circolo un'idea di
poesia che noi sentiamo attuale e necessaria. Walcott è un poeta epico e
moderno e dunque nuovo: il suo poema ‘Omeros’,
ma anche le sue opere precedenti, costituiscono uno degli esempi più alti
di una poetica che trova ampio spazio in tutte le maggiori letterature e che in
Italia è stata volutamente oscurata.
Invitiamo coloro che desiderassero intervenire con critiche, commenti e riflessioni a inviarle alla nostre mailing personali: provvederemo noi a inserirli nella sezione RIFLESSIONI A MARGINE E COMMENTI.
paolo.rabissi@gmail.com. franco_romano@fastwebnet.it.
Invitiamo coloro che desiderassero intervenire con critiche, commenti e riflessioni a inviarle alla nostre mailing personali: provvederemo noi a inserirli nella sezione RIFLESSIONI A MARGINE E COMMENTI.
paolo.rabissi@gmail.com. franco_romano@fastwebnet.it.
EDITORIAL.
The
reasons why we undertake such an enterprise are many and have to do with a way
of intending poetry, nowadays. Our intention is to give voice to a word that in
Italy has become, since a long a time, an unspeakable taboo: epics. The word is
in the the title of our site (DIEPICANUOVA sounds like about new epics in
English). Anyway, the
adjective new is as important as the the word epics. We do not want to
cultivate the spleen for a tradition, neither simply refer to the epic feeling
that accompany human history since its origin. Our intention is to define what
features epic poetry should have
nowadays. What pushes us to do this is first of all our poetry that, since a
long time, goes towards that goal, but even the belief that a reflection of the
epic genre in a new form, is necessary. We need to slide from the linguistic
and pyrotechnical tricks of the signifying, or the existential bending to turn
to the research of a poetry able to look again at the history and its
tragedies, but also to what is new that already exists and expect to be named.
To do so, it is also necessary to discover again the opportunity of narrating
in verses.
The
site will be made of four columns. In the first, TESTI MANIFESTI (Texts
Manifests), we shall publish poems by authors that we consider emblematic for
the idea of poetry we are going to
follow. They will be classic between, 19th and 20th
century and 20th, Italians and not. We shall publish them in
original language and translation, at least for what concerns the most well
known European languages in Italy. The second (MULTIVERSO) will focus questions
of poetics and the reasons of our choices. The third one (CORALIA) will deal
with the context into which our proposal is formulated; hence it will have a
critical intention. Last but not least, in the fourth column (CONTEMPORANEA),
we shall publish poems by contemporary authors, Italians and not, included ours. Finally, ESSAYS, REMARKS
AND COMMENTS, written by the readers.
The
interview to Derek Walcott was published in 2002 on the magazine Poiesis. We
are publishing it again because in his answers the poet of St. Lucia proposes
an idea of poetry that we feel necessary and topical. Walcott is both an epic
and modern poet, thus new. His poem 'Omeros' but even his previous writing are
one of the highest example of a poetic that finds wide hearing in all the major
contemporary literatures and that in Italy has been deliberately obscured.
INTERVISTA A DEREK WALCOTT
Di Franco Romanò.
Pubblicata la prima volta sulla rivista
Poiesis nel 2002.
Franco Romano:
Signor Walcott, in un'intervista rilasciata
al quotidiano 'II sole 24 ore' lei affermava che solo gli artisti mediocri
hanno paura di avere dei maestri. Vorrei cominciare da questo perché il
Novecento europeo è stato il secolo dell'originalità a tutti i costi...
DEREK WALCOTT:
Può precisare meglio a quale periodo e
a quali autori si riferisce?
FR
Penso a tutto ciò che è avvenuto negli ultimi dieci anni dell'800 e i
primi venti del '900 in Francia, in Italia, in Gran Bretagna e poi penso a
movimenti come 'Dada' e a quello che ne seguì anche in termini di imitazione...
DW
Sì, capisco... Vorrei cominciare
da una frase di Joseph Brodskji, quando disse: "Perché è necessario avere
un ventesimo secolo quando c'è già stato il diciannovesimo?"
E' un'osservazione molto
brillante perché in termini di intelligenza dei tempi e di arguzia gli
scrittori del diciannovesimo secolo che avevano concepito l'idea dell'emergere
della città (nel senso mercantile, borghese o artigiano del termine) come
soggetto in sé, avevano raggiunto una scala di valore molto elevata; parlo
dello spirito cittadino che esiste in Balzac o in Dickens. Questa
consapevolezza della città raggiunse le sue punte più elevate con la fine del
secolo e questo ci dà la misura della solidità del diciannovesimo secolo. Forse
quanto sto dicendo potrà sembrare il discorso di un uomo anziano, ma io credo
che molti dei movimenti venuti dopo siano stati vittime di una certa petulanza,
dell'invidia e dell'ambizione rispetto a questa grandezza. Si può anche comprendere
perché se si è coscienti del valore degli autori che ho citato in precedenza,
oppure della forza dell'architettura compositiva di un Baudelaire, uno
scrittore o un gruppo di scrittori che danno vita a un movimento capiranno che
è un po' arduo competere con lui, avranno la tentazione di dire non facciamo
questo non è importante, facciamo altro...E' cosi che cominciano le
avanguardie. Prendiamo 'dada' per esempio. Se io li accusassi di essere un
movimento ingenuo, infantile e naif, che crede nel senso del nonsenso, loro
sarebbero stati i primi a darmi ragione; ma anche ammettendolo questo non fa
venire meno il fatto che infantili erano e restano.
Nel dire ciò, però, non intendo affermare
che l'artista sia un essere sublime; anzi, sono questi movimenti che pure
affermando esattamente l'opposto portano alla stessa conclusione perché anche
l'idiozia in un certo senso è sublime. C'è una bella differenza fra l'idiozia
di una certa avanguardia e la semplicità, prendiamo, di un Blake, oppure la
semplicità e persino la chiarezza di un Verlaine.
Insomma l'avanguardia ha tutti i
difetti di qualcosa di giovanile, di non maturo, un esperimento, anche se va
detto che parole come sperimentare o esperimento non si possono circoscrivere a
quei movimenti. Perciò quello che dico è che molti dei grandi poeti del
novecento hanno un'eredità, guai a non riconoscere l'eredità dei grandi maestri,
essa esiste eccome se esiste! Ma questo è stato ritenuto ridicolo, fuori moda,
vecchio.
A questo proposito vorrei
parlarle della mia esperienza di docente. Io insegno negli Stati Uniti e il
concetto di insegnare la tradizione negli Usa non è un vero concetto e le
assicuro che è molto complicato insegnare in una cultura che pensa che tutto
ciò che esiste sia stato fatto ieri o l'altro ieri. Non hanno un'idea della
storia... L'idea che bisogna avere cura dei maestri nel processo di
apprendimento nelle arti, è stato molto minacciato durante il secolo scorso da
molti fattori, anche molto lontani fra loro, incluso il cinema che insieme ad
altro ha contribuito a trasformare l'artista in un performer, poesia inclusa.
Insieme all'idea della performance è venuta avanti anche quella della competizione.
FR
A questo proposito le chiedo: il
poeta a fronte di queste trasformazioni e insidie deve cercare di assecondarle
o di resistervi secondo lei?
DW
Resistere? Vede è difficile
farlo, gli scrittori, i romanzieri in particolare negli USA seguono quest'idea,
si comportano come le star del cinema, lo scrittore è una persona pubblica. Si
tratta di un'idea molto forte che però ha un'influenza negativa sul talento
individuale dell'artista. Di buono c’è che, sebbene alcuni poeti siano inclini
a seguire questo modello, la poesia è più difficile da corrompere perché tende
a espellere il poeta corrotto.
FR
Ciò che trovo sorprendente nella
sua poesia è la mescolanza fra uno scenario tipicamente caraibico e il continuo
riferimento alla tradizione classica europea, greca, latina e non: Lucrezio,
Dante, John Donne, tanto per fare alcuni nomi. Ho notato però che quanto più ci
avviciniamo al secolo precedente, al '900, i vostri riferimenti sono quasi
esclusivamente concentrati sui grandi russi: Achmatova, MandeI'stam. Come mai questa
scelta e più in generale cosa rappresenta per lei il patrimonio classico della
letteratura europea?
DW
Se leggo un libro di Pastemak,
oppure, poniamo una traduzione dell'Odissea, la domanda terribile per me è:
dove sono mentre leggo questo libro? Sono ai Caraibi, su una piccola isola, non
c'è nulla intorno a me che possa evocare la storia: non ci sono rovine, non ci
sono castelli, acquedotti ecc. Perciò, in quanto lettore, io mi trovo in una
condizione molto elementare perché ho a che fare con gli elementi primari: il
mare, l'aria, la natura, il vento. Questo è il mio contesto. La stampa non ha
nulla a che vedere con il paesaggio che mi sta intorno.
Ma il senso della lettura è
fortemente rafforzato dal fatto che mi trovo in una situazione dove dominano
gli elementi. Per questa ragione non posso leggere con un senso della temporalità.
Se si legge la stessa cosa in Italia, o a New York, essa entra immediatamente
in un contesto, è un po' come la parte di un ampio dizionario.
La condizione in cui mi trovo è
quella dell'innocenza, che non è naturalmente ignoranza. Mi dico che sono
fortunato per questo, perché ritengo che la lettura innocente, anche per un
uomo della mia età, sia importante. In un certo senso leggere in questo modo
porta molto vicino al processo stesso di formazione della poesia. In questo
senso per innocenza non intendo il vuoto, il nulla, ma una disposizione a
lasciarsi rinfrescare da ciò che si legge. Venendo più direttamente alla sua
domanda, essere debitori verso i grandi autori del passato è per me naturale,
mentre penso che per un artista europeo significhi anche portarsi sulle spalle
un grande fardello; essere un pittore in Italia, per esempio, vuole dire
portarsi un gran peso sulle spalle.
FR
Ciò che mi sorprese quando mi
avvicinai le prime volte alla sua poesia era una certa mancanza di riferimenti
ad altri autori del continente americano, sia del Nord sia del Sud. Per esempio,
trovo che la natura sia molto importante nella vostra poesia e mi sono
domandato spesso quale sia il suo rapporto, come lettore e anche come poeta,
con Neruda, per esempio.
DW
Ovviamente quello che lei dice
ha a che fare con la lingua. Se io fossi nato in una parte dei Caraibi di
lingua spagnola, avrei certamente avuto un rapporto con quella letteratura. Il
problema dei Caraibi è che le origini coloniali sono differenti; danesi,
francesi, inglesi, spagnoli... Il temperamento delle diverse zone è molto
diverso e questo è un valore grande; le Barbados sono molto inglesi, Guadalupe
è molto francese. Quando sono entrato in contatto con scrittori
latino-americani come Neruda oppure Gallego e altri ho riscontrato subito un'identità
per quanto riguarda la storia, nel senso che abbiamo condiviso alcune
esperienze: le grandi piantagioni, la schiavitù, per esempio. Per un certo
periodo di tempo io sono passato attraverso la loro esperienza, posso dire di
essere stato anche influenzato da Neruda, ma poi ho abbandonato quella strada
perché c'era qualcosa di temperamentale che non mi si addice... Neruda per
esempio può essere molto eccitante in un modo sbagliato per chi scrive in
inglese perché l'enfasi nella pronuncia delle vocali spagnole non si addice
alla lingua che uso come scrittore. Ci sono aspetti dello spagnolo che non mi
piacciono: non amo per esempio il Lorca surrealista, così come il Gallego surrealista.
Ecco, quando sento troppo la ridondanza dello spagnolo io divento molto inglese,
non mi piace una certa pomposità. E' una tipica reazione coloniale allo
spagnolo e all'italiano. Naturalmente gli aspetti più duri di Lorca o di un
Montale sono formidabili.
'
.
Per quanto riguarda il perché
manchino riferimenti anche ai nord americani nella mia poesia, diciamo che non
ho amato mai troppo il verso lungo, o diciamo troppo lungo, alla Whitman per
intenderci, o anche alla Ginsberg; il metro è troppo spinto. Anche le teorie di
coloro che sostengono l'espansione del verso facendola dipendere dal respiro,
incluso lo stesso William Carlos Williams, mi sembra introducano una forzatura. C'è troppa teoria in questo modo di
fare e non mi piace neppure l'opposto e cioè la contrazione eccessiva: volere a
tutti i costi evitare il pentametro, coscientemente, mi sembra un esperimento:
credo che i due estremi del verso troppo lungo o troppo corto vadano evitati.
FR:
Probabilmente per lei Whitman è
stato importante per il tono epico ed epico lirico della sua poesia....
DW
Sì, questo sì, mentre sono sospettoso della
deliberata espansione del verso.
FR
L'attenzione per la metrica è costante
nella sua poesia. Significa che siete riluttante e sospettoso nei confronti del
verso libero?
DW
Ho scritto anche versi
sillabici... In generale penso sia un problema che riguarda la personalità del
poeta, però credo che ci debba essere il rispetto per certi limiti. Pensare,
come le dicevo, di potere espandere o contrarre il verso artificialmente è un
po' egocentrico. Credo che occorra essere umili nei riguardi del verso. Quello
che le dico può sembrare molto personale e persino privato ma proprio perché so
di essere una persona ambiziosa, allora cerco di essere molto rispettoso dei
limiti.
FR
Leggendo i suoi versi non vi è
traccia, almeno superficialmente, di un'attenzione per la filosofia o la
psicanalisi che per la cultura europea del secolo scorso sono stati due
riferimenti quasi obbligati, anche per i poeti, insieme alle nuove scienze del
linguaggio. Quale è il vostro atteggiamento nei confronti di queste discipline.
DW
Bene, lei mi scuserà se farò un
paragone osceno nel rispondere a questa domanda. Fare poesia vuole dire entrare
volontariamente in una prigione. In questa prigione si aggirano un sacco di
teorie accademiche, c'è la semiotica e altro, la prima cosa da fare è
preoccuparsi di non farsi inculare. Lei mi perdonerà, ma quello che voglio dire
è che se uno sceglie di spendere la propria vita da poeta deve stare bene
attento a non lasciarsi invadere e deviare da teorie, da giudizi competitivi,
da invidie e ambizioni, ma deve piuttosto cercare di pensare sempre che ciò che
sta facendo non è per se stesso, ma per cercare qualcosa che il poeta crede
esista e che si chiama poesia. E' una strada lunga e bisogna stare attenti a non
lasciarsi corrompere, vuol dire che bisogna credere nella moralità che il poema
esprime direttamente in sé. In
questo senso si può dire che vi è una forte approssimazione con
l'umiltà del sentimento religioso, in altre parole in un certo modo il poeta è
vicino al sacerdote, al prete, al monaco; in un altro senso il poeta deve rifiutare la pura conoscenza,
l'eccessiva confidenza con le persone e le teorie sulla poesia. In ultima
analisi quello che il poeta fa è creare il poema, questo è il suo compito ed è
un compito arduo, prima di riuscire ad arrivare a questo occorre superare molti
ostacoli terrificanti. Fare i conti con l'ibrido, con il maturare lento
dell'opera nella testa... bisogna tornare al non sapere, all’ignoranza e questo
è molto difficile da fare nel contesto contemporaneo dove ci sono molte teorie,
molte reputazioni... vede quello che sta succedendo alla letteratura francese,
per esempio...lì danno troppo ascolto ai critici, ai dibattiti universitari, alle
parole dei dotti. Bisogna tornare a dire che la poesia è una sorta di miracolo
cui si deve una devozione quasi religiosa.
FR
Voi avete usato le parole sacerdote,
religione; ma si possono
sostituire queste parole con altre, tipo sciamano, divinità, sacro ecc?
DW
Vede, la parola sacerdote va per me
usata in riferimento a William Wordsworth; a me piace dire sacerdote della
natura perciò la devozione nei confronti della natura è ciò che io intendo
quando uso la parola sacerdote e mi riferisco in primo luogo alla natura
organica perché senza di essa nulla potrebbe esistere, l'ossigeno l'abbiamo
dalla natura organica. Non importa quanto siano abili o famosi, ma ci sono
scrittori che tendono a diventare cinici, è questo che rischiano quando si
siedono alla scrivania e cominciano a scrivere poesie. Invece bisogna tornare a
una innocenza radicale. Molti poeti sono complicati e sofisticati, ma proviamo
ad andare al nocciolo della loro opera... Donne, Rimbaud, Auden, Eliot,
Montale, quando arrivo al nucleo radiante della loro poesia io un po' mi
preoccupo.
FR
Voi avete detto sacerdote della natura
e nella vostra poesia il rapporto con la natura è davvero essenziale. Ecco,
cosa ne pensate di questo continuo forzare, da parte della scienza, i limiti
naturali e di creare sempre più una seconda natura artificiale. Mi riferisco a
tutto il problema delle biotecnologie,
del transgenico ecc.
DW
Penso che si tratti di
un'attitudine faustiana. Credo che occorra ritornare a provare la paura primordiale.
Dobbiamo in un certo senso ritornare al rapporto con la divinità, con dio,
accettare che vi sono dei limiti alla conoscenza umana. Le idee prometeiche o
ulissiche, ciò che spinge a ripartire ancora una volta da casa per raggiungere
altre mete... tutto questo è stato vero, fa parte della nostra storia, non può
essere negato ma occorre avere la consapevolezza che quanto più si prosegue su
questa strada tanto più tutto diventa più pericoloso. Si può andare avanti solo
accettando il compiersi di un tragico destino...Tornando alla paura, tutto
questo che le dico è vecchio quanto il mondo, l'ammonimento a non superare
certi limiti è antico, ma si tratta di un atteggiamento opposto a quello della
ricerca scientifica che richiede di andare sempre avanti, di superare le
barriere. Andare avanti significa scoprire che nulla è intimo.
L'esplorazione della scienza in
sé va bene, ma solo se si ha un'idea tragica di questo destino. Quello che
voglio dire, in sostanza, è che se decido di compiere un certo passo devo
assumermi la responsabilità di sapere che cosi facendo qualcosa di tragico
potrebbe accadermi; se invece si va avanti senza assunzione di responsabilità,
neppure nei confronti di se stessi, allora non va bene. E' un atteggiamento antico anche
questo... si dovrebbe sapere che non si diventa dio grazie a quella conoscenza:
questo è un concetto basilare del mondo greco, ma anche del Medio Evo. Purtroppo siamo andati così avanti che stiamo
perdendo quest'idea fondamentale e il potere dei poeti sta nella capacità di
indicare questo destino tragico cui si va incontro. Questo non significa
bloccare la ricerca scientifica ma fornire o tornare a fornire quel pensiero
fondamentale che le dicevo, che l'idea di hybris, che è parte dell'idea di
tragedia, dovrebbe essere investigata essa stessa.
FR
Mi sembra che piuttosto che la
ricerca scientifica in sé voi siete preoccupato dell'ideologia di tipo ottimistico che si accompagna alla ricerca. E' cosi?
DW
Quello che voi dite è forse un po' forzato. L’esperimento scientifico in sé non può essere giudicato
in termini di moralità esterna a esso: da questo però scaturisce anche l'idea
di potere fare qualsiasi cosa in nome della scienza. Quello che io affermo è
che bisogna ritornare a una specie di formula medioevale che sappia contemplare
la conservazione di certi aspetti dell'umanità. Il ruolo del poeta è proprio
quello di rendere consapevoli del destino tragico. Quello che mi stupisce è che
non c'è scrittura tragica intorno a questi temi, ciò che abbiamo è una specie
di esaltazione superficiale, specialmente in opere teatrali o cinematogratìche:
ciò che ci manca è la dimensione del tragico nel suo senso più alto. La scienza
non può avere nessuna idea del tragico. E’ chiaro che se tutto viene misurato
come esperimento diventa un bene clonare le pecore o addirittura gli esseri
umani, ma io non sono affatto sicuro che la direzione della scienza debba
essere questa... Capisco che dire ciò possa suonare ingenuo e persino stupido,
ma è quel genere di stupidità che ci può salvare, quella paura che ti fa dire
no, là non andarci, non fare questo ecc. I grandi poeti tragici in fondo hanno
fatto ciò e io sono stupito che nonostante tutti gli orrori del ventesimo
secolo noi abbiamo una mancanza di grandi scrittori tragici, non è forse strano
questo?
FR
Sì, è strano, questo ha a che
fare con il positivismo... con questa idea del progresso indefinito che è
tipico della cultura occidentale...Torniamo a quello che lei diceva sul ritorno
a una attitudine medioevale... A quei tempi era il sacerdote, uso anch'io
questa parola nel senso in cui lei l'ha usata, a rappresentare questa idea del
tragico, insieme ai grandi poeti. Il problema nostro è di domandarci chi possa
farlo oggi: ancora i poeti voi dite, diciamo gli artisti in generale...
DW
Sulla parola arte e artisti non
saprei, prenda la musica, è ottimistica in sé... Vediamo, le propongo un gioco
accademico. Chi pensa lei abbia convogliato su di sé il senso del tragico nel
900; non dell'assurdo, non sto pensando a Beckett che trasforma il tragico in
assurdo, così come
altri del pensiero negativo, lonescu... Forse qualcuno c'è, Mandel'stam... e poi?
FR
Celan forse...
DW
Sì però per Celan bisogna considerare che il suo punto di
vista tragico dipende strettamente dalla sua esperienza... Domandiamoci per
esempio perché non ci sono grandi tragici negli Stati Uniti: secondo me dipende
dalla tecnica. Quando si pensa a un grande poeta americano si pensa subito a
Whitman, che era un grande ottimista. Venendo a tempi più vicini, anche un
Frost a me non pare rappresenti una forte idea del tragico. Questa del tragico
è una questione che ossessionava anche Yeats. Il tragico, fra l'altro, ha a che
fare con il suo opposto: nei grandi poeti tragici, al fondo c'è un nucleo di
gioia. Bene, forse in questo senso la letteratura dei Caraibi ha qualcosa da
dire, perché il senso del tragico ha al fondo qualcosa di gioioso, solo che questo
si è trasformato spesso in una sorta di protesta nera e non stiamo
parlando di questo ma di qualcosa che sa elevarsi a livello del terrifico e del
sublime.
FR
E Kafka?
DW
Credo ci sia una differenza con quello
che davvero raggiunge la sublimità della tragedia. Kafka, almeno quello che ho letto io, si è fermato
anche lui a un certo punto.
FR
Nella Grecia antica la tragedia
fu abolita, fu Pericle a farlo perché la tragedia non aveva soluzione, la catarsi,
infatti, non lo è. Pericle disse che bisognava mettere fuori dalla polis un
genere che non suggeriva soluzioni e lo disse in nome del governo della città e
della sua stabilità. In un certo senso nella Grecia antica furono la politica e
il controllo politico ad abolire la tragedia. Forse sta accadendo o è accaduto
qualcosa di simile anche nel mondo contemporaneo occidentale.
DW
Sì, nei sistemi dittatoriali il
cosiddetto bene comune detta delle regole molto restrittive, dice alle persone
cosa è bene e cosa è male, mentre nella tragedia tutto fluttua, non c'è stasi.
Sì forse c'è qualcosa di tragico nella legge dello stato, nella regola
statuale. Il problema è che la legge dello stato viene obbedita, mentre non
esiste più un potere diverso. Fra un dittatore e un buon papa scelgo
quest'ultimo, sempre che non diventi un dittatore anche lui, perché se una
religione diventa a sua volta autoritaria allora non va...
FR
Voi state dicendo che fra
sentimento religioso e governo laico dello stato ci deve essere un certo
bilanciamento di poteri... questo ai nostri tempi avviene forse soltanto nel
mondo islamico, forse è in quel mondo che troviamo oggi un senso del tragico
che qui manca.
DW
Sì, quello
che lei tocca è un punto molto interessante.