Proponiamo i nuovi testi di Franco Romanò, perlopiù inediti, introdotti da una sua nota personale. Concludiamo così la rassegna finale di questo blog. Il quale resterà peraltro vivo per un'avventura diversa da quella iniziata nel dicembre del 2013 e che sta per concludersi con una iniziativa della quale terremo informati lettori e lettrici.
"I testi che seguono sono una minuscola antologia di testi da libri pubblicati e alcuni inediti. Un filo rosso che allude a quella che in questo libro abbiamo cercato di definire come epica nuova credo sia presente in tutto il mio percorso poetico, ma all’inizio del medesimo conviveva con altre suggestioni, ancora debitrici nei confronti della poesia lirica. Per questa ragione ho selezionato soltanto due testi dai primi libri pubblicati, dando maggiore importanza agli inediti. Fra questi la prime tre parti del poemetto finale Maremma, ancora in progress, come tutta l’intera sezione dal titolo Luoghi del cuore e di utopia, costituiranno la parte centrale di un libro che prima o poi sarà completato."
Da L’epoca e i giorni:
ViaticoLe chiatte che sul Reno e la Mosella
scivolano lente e piatte, sembrano
dire fermati, non andare in fretta,
segui con noi la corrente del fiume
che lente ci porta alla nostra meta:
d'ogni legno conosciamo il peso
come un tempo i cavalli ogni pietra.
Noi lo guardammo insieme tutto questo
l'onda che s'increspa ne porta il segno
reclama a sé lo sguardo, lo trattiene e
schiaccia come quel carico pesante
che una fila di barche porta appresso
Oh poterle vedere quelle chiatte
risalire l'opposta direzione
vuote, intatte, pronte ad accogliere
di nuovo il nostro sguardo. Ma l'ansa è
lì che attende un'altra volta, lo scarto
minimo, così sembrava allora, un
semplice passaggio, ma nel salto
dal pontile qualcosa cadde in acqua
Neppure il tempo di voltarsi e già sul
treno che parte in fretta nella calca
delle mani che tremano festose
in mezzo alle bandiere di Franconia
tutto si mischia tutto si cancella,
la stazione toglie il fiume dalla vista
accelera il tempo lineare
corre via il convoglio verso
Coblenza, Mannheim, Mainz, Colonia…
Da Veglia Europa:
1789-1989
La carta dei diritti
l'aldiqua luminoso
e poi l'assalto al cielo.
Il lampo centennale si spegne
annotta ed è il deserto
una polvere fine, invisibile
ha sommerso il sogno profano
la conoscono i passi dell'esodo
i millenni dell'oppressione.
I campi, le strade e le città
sono state la sua casa, ha fatto
paura ai potenti, trionfato e perso.
Il poeta della storia è un albatro
di nuovo ai ceppi imprigionato.
sulla dura pietra di una fabbrica
richiedeva tempo e qualcosa di più
della fratellanza, del pane insieme
compagni...
ma tutto rodeva ai fianchi
del camminare goffo.
Ora in una gabbia che non ha sbarre
ma filosofie sofisticate e
insegne che piegano all'ignavia,
al nichilismo d'occasione
ai suoi poeti e falsi maestri narcisi
ad ali basse guarda la strada...
il sarto di Ulm continua a tornare
nei sogni, nel balenio improvviso
e risveglio dal sonno letale,
a dire che sì, si può
imparare a volare.
Lo abbiamo visto nella condizione
aurorale a ogni latitudine,
che fu un attimo
prima di nuove distruzioni.
Un diverso cammino,
a piedi in mezzo a una polvere che è
deserto e veleno, passo dell'esodo
e accampamenti
lontano dal cielo, nell'ora e nel qui
che stanno nella via di mezzo e noi
non più natura,
non ancora cultura
al passo claudicante di sempre.
INEDITI
Da: Le figure del dominio
Logistica 1
Metaphoras hellenicas è l'industria greca
dei trasporti, file di tir che depositano
le merci in magazzini sparsi nelle periferie.
A Milano sono in vie dai nomi fascinosi:
Dione Cassio, Isocrate, Procopio da Cesarea.
È un parallelepipedo in mezzo alla campagna.
Dal cortile un dedalo di porte, corridoi, antri
il magazzino dove uomini in smaglianti
tute rosse e bianche, stanno in piedi e urlano
dai montacarichi, danno ordini ai radiotelefoni
si aggrumano intorno a pacchi e scatole di cartone.
I volti sono duri, sono i più picchiati
quando osano scioperare.
…....................................
“Qui lei non può entrare!” poi guarda fisso il mio piede
che ha varcato la soglia, il foglio me lo strappa
dalle mani e corre verso le tante discariche...
A Korogocho che significa confusione,
i bambini si gettano nei liquami di Dandora,
la città della spazzatura alza fumi al cielo
come preghiere al dio assente, le caverne sono
empori, le gallerie case e i bambini a volte
sembrano persino felici...
ma qui è tutto più pulito il magazzino non ha
odore e gli involucri di cartone emanano
fragranze da libreria. Solo il rumore è assordante,
un concerto di ferraglie e freni, soste improvvise
brusche ripartenze. Torna presto con il pacchetto
“Ma è una cinepresa ...”e il suo volto si scioglie
diviene bambino fra nostalgia e dolore.
“Qui non si può filmare niente.”
Le mani si sfiorano e nel messaggio di segni
c’è un duplice passaggio di consegne ...
Parla e scrivi tu che puoi disse l’anziana donna
ad Anna Achmatova nella fila in attesa di sapere
come lei, la sorte di un condannato…2
E la mano rimane sospesa, insegue
a distanza il pensiero; ma il tempo è breve
l’uomo corre verso altri cumuli di pacchi:
Milano, Nairobi, la condanna uguale, capitale.
Animali.
Pinguini e orsi sanno
come si sta in comunità.
Commoventi nelle fogge, nel modo
di trattare i piccoli
hanno premure elementari.
Le femmine pinguino
vanno in cerca di cibo
tornano per sentieri accidentati,
i maschi covano le uova
se le femmine torneranno tardi
moriranno in molti. Gli orsi,
del gigante buono hanno tutto
e quelli bianchi una gioia semplice
di vivere. Giocano indisturbati
con il ghiaccio che si scioglie e
li ricaccia nel cuore del pak.
Che tutto intorno a loro crolli
è fato. Nessuno misura il danno,
sfuggono le loro vite al calcolo.
La morte individuale
è una sciagura per amici e cari
ma se si muore in molti
è solo materia per gli storici
statistica, numero potente
e forza calcolante di un congegno.
Per loro la cui lingua è fatta
di acqua e fuoco aria e terra
è solo geroglifico e inganno
per noi animali senza coscienza
di specie, atomi, merci fra merci.
Da Luoghi del cuore e d’utopia
Verso sud: Calabrie
Da questo mare e dai paesi alti
partirono in molti, uomini e donne
migranti. Ci veniamo d'estate e
nella casa labirinto si legge
Dante insieme al professore
si va in paese e si chiacchiera.
Tornano e hanno vite
da raccontare. La memoria
è saldare le mani
di padri e madri a quelle dei figli,
ma se si continua a partire
è nostalgia e solitudine.
È silenzio e sui volti sgomento...
e allora racconta di acquitrini
e mangrovie, di spiagge
bruciate dal fuoco, di case
incendiate, poi si ferma e si tace.
La notte di Hyde Park in centomila
e pochi giorni dopo
Johnson annunciava la fine
dei bombardamenti. Ci sembrò
di avere vinto una guerra
con mani di pace e aiutato
quel popolo dai grandi cappelli e
di volti bambini. Ma come dirlo
a chi là c'è stato e ha visto …
E tutto nasce da qui,
da questi muri che aveva dovuto
lasciare e ora resistono
alla furia del vento
come ali di una folla silente.
Ora volano anche i bicchieri, le foglie
ci danzano intorno, sembra un presagio ...
Lui saluta e se ne va, noi
si rimane immobili, controvento.
Latino Americhe:
Chissà s’era questo, Dino, il tuo porto strano
a Buenos Aires, di piccole barche e detriti.
La calle Caminito è alle sue spalle, l’avrai vista
se hai sentito ringhiare gli italiani, feroci
di miseria lungo la strada dei bordelli.
I tuoi occhi mi sembra di vederli, più pacati,
in pace con te stesso e il mondo, i piedi fermi
le mani meno protese alla difesa.
Forse i tuoi migliori anni li hai trascorsi a Boca,
chissà se ti piaceva il calcio, il Boca c’era già.
…
Su questa terra hai vissuto più che scritto,
poche tracce tutte nei tuoi versi.
Chi vuoi che scriva
le biografie di carbonai e suonatori di triangolo
sulle navi, di gauchos (sembra che tu abbia fatto pure questo.)…
L’errore, Dino, fu tornare: non era luogo
per te l’Italia. Quanto ti è costato lasciare
in quelle mani il libro. Come potevano capire
lui e l’altro? O forse capirono troppo,
ch’eri il più grande. Perdesti tutto un’altra volta
troppo disturbante la tua biografia
per professori di lettere, non era tempo
di vite dedicate ad altro e dalle quali il verso
sboccia arcano come un sovrappiù, il canto di chi
sa fare un po’ di tutto ma è inadatto
a questo barnum creato dagli dei o da nessuno.
Il ritorno fu il calvario. Qui qualcuno s’accorse
del tuo passaggio. In questa terra di migranti
dove l’origine conta, ma non come radice,
hanno cominciato a leggerti e studiarti.
Quelli come te hanno il passo lungo e lento.
Buon giorno Dino nel nuovo mondo
quando il nostro sole finalmente tramonta:
è tempo di popoli giovani e poeti.
Maremma
1.
Dal treno risuona distorta la sequenza
delle stazioni. Si sa che la memoria è
selettiva, sorprende sentire la morsa
dell’oblio. Quando appare la Torre Mozza
la scena ritorna amica, il treno rallenta
il filo si tesse a ritroso; ma il tempo
si prende i suoi diritti, la movida indossa
fogge diverse, per fughe amorose
e multicolori; ma la notte
adolescenti inquieti
inscenano guerre per bande:
il futuro bifronte è arrivato anche qui.
Nel vecchio mercato coperto
le luci sono sempre basse, un sortilegio
arresta gli orologi; eppure alla fine
quando si esce con l'agnello ben squadrato,
il pesce, il crudo tagliato al coltello, di nuovo
ritornano gli anni, i volti, gli aromi.
2.
La spiaggia è abbraccio che avvolge e spinge
i piedi a correre veloci, i mattini
sono gemme e il sole è forte alle otto.
L'acqua è una nicchia di onde che increspano
di manti preziosi la nudità delle amache,
le sedie, il cane assopito nell’ombra,
i bambini che giocano e nuotano.
Il vento fa risuonare fra i rami
l’eco di canti notturni, di feste …
Al tramonto i cavalli in fuga dai quadri
dei macchiaioli toscani erano miraggi …
Nei boschi più interni le miniere di ferro
e alabastro, i colori nobili mescolati
al fango. La miniera custodiva segreti
operai che difendevano in armi il lavoro:
era guerra e oggi è sgomento il suo ritorno.
3.
Cosa ricordare nel caos degli eventi?
Cos’è la storia? Qui gli umani vissero
prima che parola imponesse leggi scritte.
Il ferro risuonava sulle incudini, il suono
faceva tremare il canneto:
era lavoro e forgia,
arte covata nell’ombra dei gesti,
il bosco proteggeva e impauriva.
Questo è da ricordare ...
Sono mai esistite
mani non ancora schiave? Uomini e donne
che tessevano lavoro senza aggettivi
esploravano e selezionavano erbe,
curavano il fuoco, non ancora sacro e
imprigionato dai sacerdoti, ma sacro
solo perché fuoco e riscalda
come corpi in amore?
Qui la memoria vacilla, è polvere
e ipotesi sconfinanti nel sogno, eppure
sono quelle le mani da cercare
a cui rivolgersi in laica preghiera
in mezzo al deserto che ci circonda sì,
ma è deserto?…
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1 La discarica di Dandora a Nairobi è una vera e propria città nella città, creata dalle discariche abusive e che sono abitate da senza tetto e ultra poveri che vivono in mezzo ai rifiuti. La storia di questa comunità di disperati è stata raccontata anche da padre Alex Zanotelli che ha vissuto per anni con gli abitanti di Dandora.
2 L’episodio cui mi riferisco è stato raccontato dalla stessa Anna Achmatova.
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