Audre Lord.
di Franco
Romanò
Riprendiamo
il nostro cammino tornando alla poesia con una poeta ancora poco conosciuta in
Italia: Audre Lord, che fa parte di quella generazione di intellettuali e
artisti neri statunitensi che si sono formati nel crogiolo dei movimenti per i diritti civili.
Leggendo di
seguito le poesie della poeta afro americana, senza fermarsi troppo sul singolo
testo o verso, ma lasciandosi prendere dal ritmo e dal suono, l'eco del blues
emerge dal profondo. È una costante della poesia afroamericana, fin dai loro
classici del '900: Countee Cullen, Gwendolyn Brooks, Langston Hughes. Solo che,
nel caso di Audre Lord, insieme a questa eco se ne impone presto un'altra. Il
blues è naturalmente associato a un sentimento struggente, la malinconia, una
specie di spleen o di saudade, mentre in Audre Lord sono la rabbia,
l'indignazione e l'orgoglio a increspare il verso.
...I learned to be at home with children's blood
with savored violence
with pictures of black broken flesh
used, crumpled, and discarded
lying amid the sidewalk refuse
like a raped woman's face...
… Ho imparato ad essere a casa con il
sangue dei bambini
con la
violenza assaporata
con immagini
di carni nere spezzate,
usate,
raggrinzite e gettate nelle discariche
in mezzo ai
rifiuti del marciapiede
come il
volto di una donna stuprata...
...Speak proudly to your children
where ever you may find them
tell them
you are offspring of slaves
and your mother was
a princess
in
darkness...
...Parla con
orgoglio ai tuoi bambini
ovunque tu
li possa trovare
dì loro
che sei una
discendente di schiavi
e che tua
madre era
una
principessa
nella
tenebra...1
È, lo sappiamo, la cesura intervenuta negli anni '60,
l'insorgenza della comunità nera, la ribellione aperta, poi il suo modo di
intendere il femminismo, i gender studies: un precipitato che è tutto quanto
presente - e nelle sue forme più radicali - sia nella biografia, sia nella sua
poesia. La generazione di scrittori e poeti prima della sua era stata più
attenta a rapportarsi non solo alla tradizione nera del Gospel, ma anche alla
poesia bianca. Erano degli zii e delle zie Tom? No, questo no, e sarebbe di
certo ingeneroso bollarli con questo appellativo: peraltro Gwendolyn Brooks
portava nella sua poesia la tragedia dell'aborto e fu la prima artista nera a
vincere il Premio Pulitzer. Indubbiamente, tuttavia, la comunità nera viveva in
una sorta di limbo alla fine degli anni '50. Esaurita la spinta propulsiva dei
primi decenni del secolo, quando erano nate le prime organizzazione autonome e
si era imposto un pensatore importante come Du Bois, la musica (blues e jazz)
era diventata la cifra culturale con cui l'afroamericano s'imponeva al mondo,
ma rimaneva senza diritti a casa propria, dopo che si era esaurita la breve
utopistica stagione del ritorno in Africa. A quella musica non mancava la forza
della denuncia (basti pensare a una canzone straordinaria come Strange fruit, che Billie Holiday cantò
per la prima volta nel 1939), ma essa rimaneva perlopiù confinata alla condanna
morale dei linciaggi del passato, ma niente di più.
La Seconda Guerra Mondiale e la massiccia
partecipazione della popolazione afro americana alla medesima aveva acceso la
fuggevole illusione di poter arrivare per quella strada a una maggiore
giustizia, ma tutto si era risolto in buone parole. Gli anni '50, dunque, sono
un decennio di attesa, i poeti classici afroamericani già citati si affacciano
a una notorietà che va oltre i confini della comunità nera, con il risultato,
spesso, di renderli estranei alla medesima, accedono anche a cariche
universitarie, ma non sembrano la punta dell'iceberg di un movimento
generalizzato di emancipazione, ma solo dei casi isolati. La raffinatezza
stilistica di certe soluzioni li allontanano sempre di più dalla comunità di
appartenenza, ma bisogna considerare pure che erano tempi di giganti della
poesia statunitense: Wallace Stevens, Marianne Moore. La voce dei pochi poeti e
poete laureati neri si perde. Con gli anni '60 comincia a cambiare tutto. Nasce
una nuova generazione di leaders, celeberrimi, ma vorrei ricordare anche quelli
forse meno noti oggi (non allora) come Angela Davis, Stokely Carmaichael, Rap
Brown. Insieme a loro una nuova generazione di poeti e narratori, che a volte
sono anche leader politici. E poi Amira Baraka (al secolo Leroy Jones), James
Baldwin, nero, comunista e omosessuale, omologo al maschile di Audre Lorde. Fu
questa generazione a travolgere le barriere razziali che oggi stanno ritornando
nonostante il presidente nero e ancor più con Trump; ma quella fu la
generazione che diede ai neri statunitensi il senso della loro autonomia
culturale, non più confinata alla sola musica, ma autorevole in ogni campo del
sapere e ben presente sulla scena politica. Due premi Nobel che sarebbero
venuti molti anni dopo, prima Toni Morrison e poi Derek Walcott, caraibico, ma
docente nelle università americane, sarebbero impensabili senza questa
generazione.
Audre Lord ne fa parte con una propria specificità ben
visibile e netta. Esordisce nel 1968, un anno veramente topico anche per gli
Usa e non solo per l'Europa. Le lotte per i diritti civili dei neri sono in
pieno sviluppo, Martin Luther King viene ucciso proprio quell'anno e le
manifestazioni in tutti gli States fanno traballare l'amministrazione Johnson.
A woman speaks
moon marked and touched by sun
my magic is unwritten
but when the sea turns back
it will leave my shape behind.
i seek no favor
untouched by blood
unrelenting as the curse of love
permanet as my errors
or my pride
I do not mix
love with pity...
Luna segnata
toccata dal sole
il mio incan
to non è scritto
ma quando il
mare si ritira
la mia forma
lascerà dietro di sé.
Non cerco
favori
incontaminata
dal sangue
implacabile
come la maledizione d'amore
permanente
come i miei errori
o il mio
orgoglio
non mescolo
amore e pietà
La scelta femminista e poi lesbica allarga l'orizzonte
della sua poesia e ne trasforma ulteriormente lo stile. Il verso libero è una
costante del suo dettato poetico ed è conforme alle sonorità del blues e ai
cambi di ritmo e registro del jazz, ma la narratività aspra si arricchisce di
richiami storici, affonda nelle radici africane, ma anche le rifiuta perché le
avverte legate a un passato che non può tornare: siamo lontanissimi dal mito
del ritorno.
I do not dwell
within my birth nor my divinities
who am ageless and half-grown
and still seeking
my sisters
witches in Dahomey
wear me inside their coiled cloths
as our mother did
mourning.
I have been woman
for a long time
beware my smile
I am treacherous with old magic
and the noon's new fury
with all your wide futures
promised
I am
woman
and not white.
Non dimoro
nel recinto della mia nascita
neppure in
quello delle mie divinità.
Sono senza
età e mezza cresciuta
sto ancora
cercando
che le mie
sorelle
streghe del
Dahomey
m'indossino
nei loro abiti avvolgenti
come fece
nostra madre
lamentandosi.
Sono una
donna
da molto
tempo
stai attento
al mio sorriso
sono infida
verso il vecchio incanto
sono la
nuova furia a mezzodì
con tutti i
tuoi vasti futuri promessi
Io sono
donna
e non
bianca.
Sono una
donna e non bianca
In queste
poche parole c'è molto di Audre Lord.
Now
Woman power
is
Black power
is
Human power
is
alwasy feeling
my heart beats
as my eyes open
as my hands move
as my mouth speaks
I am
are you
Ready
E adesso potere Donna
è
potere Nero
è
potere Umano
è
sempre empatia
il mio cuore
batte
come i miei
occhi aperti
come si
muovono le mie mani
come la mia
bocca parla
Sono io
sei tu
Pronti.
Quella di Audre Lord è una poesia forte e popolare,
più colta di quanto non appaia a prima vista, ma che sa arrivare al cuore del
lettore scegliendo la via diritta del coinvolgimento emotivo. Questo è solo un
primo approccio alla sua complessa personalità anche perché essa non si
esaurisce nell'opera poetica. Gli scritti politici della poeta afroamericana
sono altrettanto importanti e meritano uno studio attento. In Italia la sua
opera è ancora poco conosciuta nonostante le meritorie iniziative della
Libreria delle donne e di altre associazioni femministe e gruppi LGBT.
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