venerdì 11 ottobre 2024

Il nostro libro 'di epicanuova, laboratorio di poesia critica' ed.youcanprint, 2024

 

Siamo di nuovo qui. Il libro è finalmente una realtà e l'abbiamo già presentato in due occasioni (nello studio Alessandra Paganardi, nell'appuntamento on line organizzato da Gabriella Galzio).

Una breve nota della prima presentazione compare nel mio blog www.righeeversi.blogspot.it

Su youtube invece compare il secondo. 

A quest'ultimo hanno partecipato: Lucianna Argentino, Claudia Azzola, Massimo Bondioli, Paolo Borzi, Laura Cantelmo, Gabriella Galzio, Nino Iacovella, Nicola Labanca, Andrea Lanfranchi, Francesco Macciò, Rita Morandi, Lorenzo Mullon, Alessandra Paganardi, Adriana Perrotta, Julia Pikalova, Paolo Rabissi, Sebastiano Romano, Franco Romanò, Luisella Vèroli, Gabrio Vitali, Claudio Zanini.

Chiunque può rivedere la serata a questo link:  https://www.youtube.com/watch?v=xL-5s8lKaBY

Ovviamente abbiamo in mente altro, vi terremo informati.

lunedì 24 aprile 2023

Lettera di saluto di Franco e Paolo

 


Lettera di saluto di Franco e Paolo

 

Car* partecipanti all’impresa,

prima di tutto un grazie per la vostra disponibilità. Anche se con voi che siete coinvolt* direttamente abbiamo già parlato del progetto, vogliamo precisare meglio in questa lettera di che cosa si tratta.  

Il blog Diepicanuova fondato nel 2013 chiude i battenti. Però non scompare, sarà sempre visibile con tutta la ricchezza e anche la felice confusione dei tanti interventi pervenuti e delle serate di letture poetiche alla Liberia Franco Angeli alla Bicocca di Milano.

La novità è che una parte consistente del suo contenuto verrà trasformata in un libro, oppure un ebook, oppure entrambe le cose, con il titolo ‘Di epica nuova’.

Per arrivare a questo abbiamo anzitutto compiuto la scelta di circoscrivere alla poesia e alla critica a essa indirizzata il progetto di libro anche se nel blog hanno trovato spazio altre forme espressive. In particolare abbiamo deciso di lasciare al solo blog il dibattito - ricco ma decentrato rispetto al progetto generale – sull’attribuzione del premio Nobel della letteratura a Bob Dylan.  

Ciò che ancora più ci preme dire e fare è che, quando il tutto sarà portato a termine, vorremo organizzare eventi, presentazioni, scambi di idee. Naturalmente ci auguriamo che tutto questo possa esser fatto insieme a voi che avete già partecipato all’impresa e con altri interlocutori e interlocutrici possibili che incontreremo nel nostro percorso. Alcune idee per quanto riguarda la città di Milano le abbiamo già, così come per i contatti che abbiamo nelle reti social. Ogni proposta sarà preziosa in questo senso.

Il blog resta aperto a tutti coloro che siano ancora interessati a intervenire con righe critiche ma anche con propri versi.

 

Franco e Paolo.          








mercoledì 8 marzo 2023

Franco Romanò, inediti e non



Proponiamo i nuovi testi di Franco Romanò, perlopiù inediti, introdotti da una sua nota personale. Concludiamo così la rassegna finale di questo blog. Il quale resterà peraltro vivo per un'avventura diversa da quella iniziata nel dicembre del 2013 e che sta per concludersi con una iniziativa della quale terremo informati lettori e lettrici.

"I testi che seguono sono una minuscola antologia di testi da libri pubblicati e alcuni inediti. Un filo rosso che allude a quella che in questo libro abbiamo cercato di definire come epica nuova credo sia presente in tutto il mio percorso poetico, ma all’inizio del medesimo conviveva con altre suggestioni, ancora debitrici nei confronti della poesia lirica. Per questa ragione ho selezionato soltanto due testi dai primi libri pubblicati, dando maggiore importanza agli inediti. Fra questi la prime tre parti del poemetto finale Maremma, ancora in progress, come tutta l’intera sezione dal titolo Luoghi del cuore e di utopia, costituiranno la parte centrale di un libro che prima o poi sarà completato."

Da L’epoca e i giorni:

Viatico

 Le chiatte che sul Reno e la Mosella

scivolano lente e piatte, sembrano

dire fermati, non andare in fretta,

segui con noi la corrente del fiume

che lente ci porta alla nostra meta:

d'ogni legno conosciamo il peso

come un tempo i cavalli ogni pietra.

 
Noi lo guardammo insieme tutto questo

l'onda che s'increspa ne porta il segno

reclama a sé lo sguardo, lo trattiene e

schiaccia come quel carico pesante

che una fila di barche porta appresso

Oh poterle vedere quelle chiatte

risalire l'opposta direzione

vuote, intatte, pronte ad accogliere

di nuovo il nostro sguardo. Ma l'ansa è

lì che attende un'altra volta, lo scarto

minimo, così sembrava allora, un

semplice passaggio, ma nel salto

dal pontile qualcosa cadde in acqua

 
Neppure il tempo di voltarsi e già sul

treno che parte in fretta nella calca

delle mani che tremano festose

in mezzo alle bandiere di Franconia

tutto si mischia tutto si cancella,

la stazione toglie il fiume dalla vista

accelera il tempo lineare

corre via il convoglio verso

Coblenza, Mannheim, Mainz, Colonia…

 

 Da Veglia Europa:

 
1789-1989

La carta dei diritti

l'aldiqua luminoso

e poi l'assalto al cielo.

 
Il lampo centennale si spegne

annotta ed è il deserto

una polvere fine, invisibile

ha sommerso il sogno profano

la conoscono i passi dell'esodo

i millenni dell'oppressione.

I campi, le strade e le città

sono state la sua casa, ha fatto

paura ai potenti, trionfato e perso.

Il poeta della storia è un albatro

di nuovo ai ceppi imprigionato.

 
Scrivere un diverso statuto

sulla dura pietra di una fabbrica

richiedeva tempo e qualcosa di più

della fratellanza, del pane insieme

compagni...

                    ma tutto rodeva ai fianchi

del camminare goffo.

Ora in una gabbia che non ha sbarre

ma filosofie sofisticate e

insegne che piegano all'ignavia,

al nichilismo d'occasione

ai suoi poeti e falsi maestri narcisi

ad ali basse guarda la strada...

 
il sarto di Ulm continua a tornare

nei sogni, nel balenio improvviso

e risveglio dal sonno letale,

a dire che sì, si può

imparare a volare.

Lo abbiamo visto nella condizione

aurorale a ogni latitudine,

che fu un attimo

prima di nuove distruzioni.

Un diverso cammino,

a piedi in mezzo a una polvere che è

deserto e veleno, passo dell'esodo

e accampamenti

lontano dal cielo, nell'ora e nel qui

che stanno nella via di mezzo e noi

non più natura,

non ancora cultura

al passo claudicante di sempre.


INEDITI

Da: Le figure del dominio

Logistica 1

 Metaphoras hellenicas  è l'industria greca

dei trasporti, file di tir che depositano

le merci in magazzini sparsi nelle periferie.

A Milano sono in vie dai nomi fascinosi:

Dione Cassio, Isocrate, Procopio da Cesarea.

È un parallelepipedo in mezzo alla campagna.

Dal cortile un dedalo di porte, corridoi, antri

il magazzino dove uomini in smaglianti

tute rosse e bianche, stanno in piedi e urlano  

dai montacarichi, danno ordini ai radiotelefoni

si aggrumano intorno a pacchi e scatole di cartone.

I volti sono duri, sono i più picchiati

quando osano scioperare.

…....................................

“Qui lei non può entrare!” poi guarda fisso il mio piede

che ha varcato la soglia, il foglio me lo strappa

dalle mani e corre verso le tante discariche...

A Korogocho che significa  confusione,

i bambini si gettano nei liquami di Dandora,

la città  della spazzatura alza fumi al cielo

come preghiere al dio assente, le caverne sono

empori,  le gallerie case  e i bambini a volte

sembrano persino felici...

ma qui è tutto più pulito il magazzino  non ha

odore e gli involucri di cartone emanano

fragranze da libreria. Solo il rumore è assordante,

 un concerto di ferraglie e freni, soste improvvise

brusche ripartenze. Torna presto con il pacchetto

“Ma è una cinepresa ...”e il suo volto si scioglie

diviene  bambino fra nostalgia e dolore.

“Qui non si può filmare niente.”

Le mani si sfiorano e nel messaggio di segni

c’è un duplice passaggio di consegne ...

Parla e scrivi tu che puoi  disse l’anziana donna

ad Anna Achmatova nella fila in attesa di sapere

come lei, la sorte di un condannato…2

E la mano rimane sospesa, insegue

a distanza il pensiero; ma il tempo è breve

l’uomo corre verso altri cumuli di pacchi:

Milano, Nairobi, la condanna uguale, capitale.

 
Animali.

 Pinguini e orsi sanno

come si sta in comunità.

Commoventi nelle fogge, nel modo

di trattare i piccoli

hanno premure elementari.

Le femmine pinguino

vanno in cerca di cibo

tornano per sentieri accidentati,

i maschi covano le uova

se le femmine torneranno tardi

moriranno in molti. Gli orsi,

del gigante buono hanno tutto

e quelli bianchi una gioia semplice

di vivere. Giocano indisturbati

con il ghiaccio che si scioglie e

li ricaccia nel cuore del pak.

Che tutto intorno a loro crolli

è fato. Nessuno misura il danno,

sfuggono le loro vite al calcolo.

La morte individuale

è una sciagura per amici e cari

ma se si muore in molti

è solo materia per gli storici

statistica, numero potente

e forza calcolante di un congegno.

Per loro  la cui lingua è fatta

di acqua e fuoco aria e terra

è solo geroglifico e inganno

per noi animali senza coscienza

di specie, atomi, merci fra  merci.

 

Da Luoghi del cuore e d’utopia

 Verso sud: Calabrie

 Da questo mare e dai paesi alti

partirono in molti, uomini e donne

migranti. Ci veniamo d'estate e

nella casa labirinto si legge

Dante insieme al professore

si va in paese e si chiacchiera.

Tornano e hanno vite

da raccontare. La memoria

è saldare le mani

di padri e madri a quelle dei figli,

ma se si continua a partire

è nostalgia e solitudine.

 
“Ho combattuto in Vietnam ...”

 
È silenzio e sui volti sgomento...

e allora racconta di acquitrini

e mangrovie, di spiagge

bruciate dal fuoco, di case

incendiate, poi si ferma e si tace.

 
La notte di Hyde Park in centomila

e pochi giorni dopo

Johnson annunciava la fine

dei bombardamenti. Ci sembrò

di avere vinto una guerra

con mani di pace e aiutato

quel popolo dai grandi cappelli e

di volti bambini. Ma come dirlo

a chi là c'è stato e ha visto …

 
E tutto nasce da qui,

da questi muri che aveva dovuto

lasciare e ora resistono

alla furia del vento

come ali di una  folla silente.

Ora volano anche i bicchieri, le foglie

ci danzano intorno, sembra un presagio ...

Lui saluta e se ne va, noi

si rimane immobili, controvento.  


Latino Americhe: 

Lettera a Dino Campana

 Chissà s’era questo, Dino, il tuo porto strano

a Buenos Aires, di piccole barche e detriti.

La calle Caminito è alle sue spalle, l’avrai vista

se hai sentito ringhiare gli italiani, feroci

di miseria lungo la strada dei bordelli.

I tuoi occhi mi sembra di vederli, più pacati,

in pace con te stesso e il mondo, i piedi fermi

le mani meno protese alla difesa.

Forse i tuoi migliori anni  li hai trascorsi a Boca,

chissà se  ti piaceva il calcio, il Boca  c’era già.



Su questa terra hai vissuto più che scritto,

poche tracce tutte nei tuoi versi.

                                                   Chi vuoi che scriva

le biografie di carbonai e suonatori di triangolo

sulle navi, di gauchos  (sembra che tu abbia fatto pure questo.)…

 
L’errore, Dino, fu tornare: non era luogo

per te l’Italia. Quanto ti è costato lasciare

in quelle mani il libro. Come potevano capire

lui e l’altro? O forse capirono troppo,

ch’eri il più grande. Perdesti tutto un’altra volta

troppo disturbante la tua biografia

per professori di lettere,  non era tempo

di vite dedicate ad altro e dalle quali  il verso

sboccia arcano come un sovrappiù, il canto di chi

sa fare un po’ di tutto  ma è inadatto

a questo barnum  creato dagli dei o da nessuno.

Il ritorno fu il calvario. Qui qualcuno s’accorse 

del tuo passaggio. In questa terra di migranti

dove l’origine conta, ma non come radice,

hanno cominciato a leggerti e studiarti.

Quelli come te hanno il passo lungo e lento.

Buon giorno Dino nel nuovo mondo

quando il nostro sole finalmente tramonta:

è tempo di popoli giovani e poeti.

 
Maremma

1.

Dal treno risuona distorta la sequenza

delle stazioni. Si sa che la memoria è

selettiva, sorprende sentire la morsa

dell’oblio. Quando appare la Torre Mozza  

la scena ritorna amica, il treno rallenta

il filo si tesse a ritroso; ma il tempo

si prende i suoi diritti,  la movida indossa  

fogge diverse, per fughe amorose

e multicolori; ma la notte

adolescenti inquieti

inscenano guerre per bande:

il futuro  bifronte è arrivato anche qui.

Nel vecchio mercato coperto  

le luci sono sempre basse, un sortilegio

arresta gli orologi; eppure alla fine

quando si esce con l'agnello ben squadrato,

il pesce, il crudo tagliato al coltello, di nuovo

ritornano gli anni, i volti, gli aromi.

 
2.

La spiaggia è abbraccio che avvolge e spinge

i piedi a correre veloci, i mattini

sono gemme e il sole è forte alle otto.

L'acqua è una nicchia di onde che increspano

di manti preziosi la nudità delle amache,

le sedie, il cane assopito nell’ombra,

i bambini che giocano e nuotano.

Il vento fa risuonare fra i rami

l’eco di canti notturni, di feste …

Al tramonto i cavalli in fuga dai quadri

dei macchiaioli toscani erano miraggi …

Nei boschi più interni le miniere di ferro

e alabastro, i colori nobili mescolati

al fango. La miniera custodiva segreti

operai che difendevano in armi il lavoro:

era guerra e oggi è sgomento il suo ritorno.

 
3.

Cosa ricordare nel caos degli eventi?

Cos’è la storia? Qui gli umani vissero

prima che parola imponesse leggi scritte.

Il ferro  risuonava sulle incudini, il suono

faceva tremare  il canneto:

era lavoro e forgia,

arte covata nell’ombra dei gesti,

il bosco proteggeva e impauriva.

Questo è da ricordare ...

                                    Sono mai esistite

mani non ancora schiave? Uomini e donne

che tessevano lavoro senza aggettivi

esploravano e selezionavano erbe,

curavano il fuoco, non ancora sacro e

imprigionato dai sacerdoti, ma  sacro

solo perché fuoco e riscalda

come corpi in amore?

Qui la memoria vacilla, è polvere

e ipotesi sconfinanti nel sogno, eppure

sono quelle le mani da cercare

a cui rivolgersi in laica preghiera

in mezzo al deserto che ci circonda sì,

ma è deserto?…

 


________________________________

1 La discarica di Dandora a Nairobi è una vera e propria città nella città, creata dalle discariche abusive e che sono abitate da senza tetto e ultra poveri che vivono in mezzo ai rifiuti. La storia di questa comunità di disperati è stata raccontata anche da padre Alex Zanotelli che ha vissuto per anni con gli abitanti di Dandora.  

2 L’episodio cui mi riferisco è stato raccontato dalla stessa Anna Achmatova.

lunedì 20 febbraio 2023

Giuseppe Caracausi, nuovi testi


Riproponiamo oggi Giuseppe Caracausi con la scelta di testi nuovi operata da lui medesimo dopo la prima, presente qualche pagina qui sotto, che era stata redazionale, come in tutti i casi. Siamo quasi alla conclusione di queste seconde proposte. Il blog in questo modo sta per concludere appunto la seconda parte del nostro progetto iniziato nel 2011. La terza sosterà ancora per poco nel mondo delle idee in buona compagnia con i fantasmi dell'epica antica e le parvenze non immateriali di un'epica nuova.

Testi di Giuseppe Caracausi

da VARIAZIONI DEL GRADO DI SPOSTAMENTO:

quasi  una calma mediterranea     sopravvenisse a distogliere      con la costituzione     anche troppo minuta
della più parte della materia      tutto qui


se prescindiamo dalle acque   che insistono nei loro moti contro la terraferma   possiamo credere di intuire 
la linea da cui molte cadute dipenderanno



si trattava di vedere di condurre una linea al disordine geografico nel rispetto della pertinenza dei luoghi e 
le zone interposte                una forza era applicata nel punto in cui il mediterraneo divide

 

una volta che la spaccatura prende luogo                     nella morfologia del mediterraneo   e non ovunque 
si può assistere a una inversione di sforzo                   è come geografie che hanno fatto ormai il loro tempo

 

                                                                                   interi settori di mediterraneo accumulano microlesioni                                                          
fino al punto di non poter più funzionare correttamente                                                                                                                  
di regola un meccanismo riparativo non sarebbe applicabile

 

facilitano la formazione di artefatto anche sul mediterraneo                                                                                        
incremento termico   rumore dello sviluppo negligenze   piccole quanto si vuole ma in grado di aumentare 
l’adesività dell’ospite   che si sta tuttora formando

 

semplicemente   non ci sono forze conosciute                                                                                                                              
che potrebbero rideformare la subunità-chiave del mediterraneo o spingerla a una via fisiologica diversa

 

non è sufficiente dire che una spaccatura è profonda                        bisogna anche saperla misurare   se 
si parte dall’apice   il rischio è di perdere il sistema   a quanto pare per sempre

 

si dice che stagno e ferro hanno formato un’impurezza          le tensioni possono liberarsi quando più tardi 
nel mediterraneo il deposito è termicamente sollecitato e messo in circolo



da CON PUNTI DI RITIRO/ESPANSIONE:

 

per non precipitare del tutto                                                                                                                                                         
si aggregano come particelle   depositano   bande   flocculi   scudi              con fondamento e la testa a quello 
che il ferro   sparendo   lascia pensare

 

tornando alla materia animale di casa   caro   dolce modestamente   amico   non è nulla di male l’impiego di 
piccoli esempi   di sangue cattivo   hanno pieno significato per crescite leggere ma critiche      delle pressioni  
fatevi arrivare zolfo da ovunque si possa!                                                                                                                       
un’anima stupida pure lui per la sciocchezza   l’altro non un segno di troppo

 

nella camera dove è rimasto sepolto                                  per poco   i capelli i denti   non si sono perduti      ma    
questa vetrina mostra le mani insanguinate   nel folle tentativo di prendersela con il riccio di Archiloco

 

si parte con una leggera depolarizzazione della città   tenendo alto il flusso di cibo   le garanzie                        
il primo piccolo passaggio è di eliminare   sottoforma di scorie      gli estremi della cittadinanza

 

in altri termini mandare fuori carta la città ha poca tenuta                      senza svolgere sporco dice lo studio e 
si tratta di una vera illuminazione      il segnale da non sprecare

 

in queste lontananze geografiche     solo posteriormente alla circolazione dell’ordine di eliminare il disturbo 
hanno pensato di offrire di uccidere

 

da ASPETTI DEL PRECIPITATO:

 

ci sono esempi di corpi in cui il disordine è estremo                       i costituenti occupano posti quasi a caso 
disordine alto   da liquido    i difetti sono mobili    saltano da una formazione all’altra con frequenza libera 
che non dipende      e su cui gli alchimisti  esercitano maggiormente la loro pazienza

 

pochi perderebbero tempo a scrivere 29,5x100                                                                                                                             
la notazione scientifica più accettabile per tale numero è 29,5

 

mangia   non farti mangiare   per il bene comune

fai figli o trova altre soluzioni adeguate alle tue esigenze

da preda   stili di vita   da io sono più riuscito di te

adotta formule e moduli nuovi   tienici a capovolgerti

sii flessibile alle pressioni   ai colpi che il pianeta decide per te

trovati un posto sicuro   difendilo   arricchiscilo di importanti novità tese a migliorarlo

non vedano il tuo profilo finanziario |--------|  fai vedere chi sei   sempre per il bene di tutti

non dare nell’occhio o fingiti diverso (il distacco che ci vuole ci vuole)

dimostra forza e capacità autentiche   (sincerità)

lascia convinzioni religiose   filosofiche o di altro genere      tagliala con il trattamento mediatico

è che si capisce fino a un certo punto

i mercati sono già nervosi   raffina l’ascolto   bb

 

 

la figura B mostra la situazione dell’aggressione chimica   fisica della copertura centrale e di alcune parti più 

esterne della regione                   stimoli correlati con dinamiche militari           adattamento negativo alla luce


 

mostra in modo approssimativo         |////|======   si legge la vista è il solo senso per cui il tempo geologico 

può essere suddiviso in due fasi distinte                 è un bel pezzo che non leggi nulla di o ti muovi o ti dimetti

un lettore   sopra una certa grandezza   non si vede   apparire   nel fumo   salutare   farsi vedere   stringere 

qualche mano                 nelle infrastrutture    bisogna fare a chi corre di più                                                            

il servizio sanitario non passa xxx extra forte

 

 

  

 

 

 

martedì 18 ottobre 2022

Righe e versi di Nino Iacovella

 

                                                                                


Abbiamo invitato Nino Iacovella a proporci una scelta di prose e versi inediti accompagnati da personale commento:

                                         Partire da un paesaggio e poi perdersi  

Come nell’affermazione di Herzog '...quando devo girare un film parto sempre da un paesaggio e non da una storia'  viene concepito il libro La parte arida della pianura.

 

Da abruzzese la pianura era sempre stata per me solo segno di spaesamento e perdita. Mi mancavano i tradizionali punti di riferimento: la montagna, la collina, il mare. Avevo bisogno di riorientarmi, pacificarmi con una terra ospitante che mi parlava con altra lingua e con silenzi sconosciuti. 

 

Dalla frattura tra paesaggio esteriore e interiore, la poesia è stata la cura necessaria per riempire un vuoto. Ho impiegato nove anni per terminare questo progetto di scrittura. Tanti, troppi. Ma il tempo è stato impiegato anche per portare a compimento un percorso di sostanziale crescita personale e culturale di cui sentivo di avere bisogno. 

 

Volevo scrivere dell’epica dell’uomo tout court. La pianura è diventata così lo scenario dove far rivivere allegoricamente l’avventura umana dall’Olocene sino a quelle tracce di contemporaneità contenute in particolare nella sezione  Entropia, sezione dalla quale propongo i testi “Dall’alto della Storia” e “Il mercato rende liberi”. 

 

La lunga gestazione di La parte arida della pianura è la cifra di un salto di qualità del mio modo di scrivere che spero arrivi al lettore. 



Da “La parte arida della pianura"  (inediti)

                                                    Dall’alto della storia


Che cos’è il dolore

se non mancanza d’immaginazione?

 

e la Storia?

idem 

 

ripetiamolo, vi prego, 

come se fossimo della stessa stoffa

di uomini sconfitti alla fine di un assedio

 

e non una delegazione di troiani da operetta

ansiosa di toccare i muscoli di Achille

 

Massimo Rizzante


*

Abbiamo visto luci accalcarsi 

alle porte di Sparta, la città aprirsi 

tra le fauci dei suoi fossati,

le metope incarnarsi dai marmi

 

A quell’ora la sontuosa grazia

del palazzo dei re, la scacchiera 

infinita dei pavimenti era nuda 

degli sfarzi di opliti dorati   

 

Non ce ne andremo prima di aver rapito

ancora una volta la bellezza di Elena

 

E attenderemo gli achei

scuoiando all’origine 

il cavallo dei loro assedi

 

Dalle mura di Ilios 

isseremo bandiere di una città 

che non avrà più paura 

di chiamarsi Troia


*

Dicono di una città ricca di canali d’acqua 

nel tempo sepolti sotto le strade 

 

Questa città siamo stati prima di abbattere mura, 

aprire le porte del nostro riserbo

 

Ora nel flusso sotterraneo della Storia, 

giace la sete della perdita, un’era

rimasta abbandonata nei libri, strappati 

pagina a pagina, dispersi nei roghi 

di antiche conquiste  

 

Eppure, certi giorni, 

quel fumo ritorna dalle strade,

alimenta il fervore produttivo 

di uomini che tornano a riempire 

piazze senza conflitto, truppe 

schierate nel terziario avanzato, 

schienate su chaise long da aperitivo, 

ricavate (è garantito) da barricate 

originali delle Cinque giornate


***

                                                Il mercato rende liberi

In principio era il Logos 

e il Logos era presso Dio 

e il Logos era Dio.

Egli era in principio presso Dio.

 

Tutto era stato fatto 


per mezzo di lui,


e senza di lui 


niente è stato fatto 


di tutto ciò che esiste


Vangelo di Giovanni


Io sono in politica a causa del conflitto 

tra il bene e il male, e io credo che alla 

fine il bene debba prevalere.

 

Margaret Thatcher



Capitalismo è la sorprendente convinzione 

che il più malvagio degli uomini 

farà la più malvagia delle cose 


per il massimo bene di tutti

 

John Maynard Keynes



Noi interpretiamo la realtà attraverso le lenti di una teoria.

Mi guardo dall’alto, all’interno dell’outlet, un uomo di mezza età che ricopre alla moda la nudità del tempo e della morte. Forte è la musica di una gioventù andata, traslata sugli assi cartesiani del profitto, pelle tirata a lucido dal consumo di beni voluttuari. Amo vestire il benessere occidentale e ammirare la carica erotica della mia e delle nuove generazioni. Stimolo e risposta. Tutto precipita senza senso ma con i sessi infiammati. Copuliamo attraverso l’uso di automobili di lusso e sogniamo spiagge avatar, caricature esotiche da mostrare nel cortocircuito delle piattaforme asociali. 

 

Entro in un negozio di abbigliamento di massa. La musica pulsa al ritmo di un cuore sovraeccitato. L’orchestrina invisibile ci ammalia. Mi perdo dentro un luogo interno, invisibile ai miei occhi aperti che non si spengono mai. Lo sguardo è un dispositivo rotto per sempre. 

 

Ti accorgi che siamo in tanti a mettere le mani addosso sulle stesse cose. Non una parola con nessuno dei tanti, non una parola con le commesse che hanno soltanto poche domande e risposte da contratto. 

 

Tra ogni uomo e le merci esiste una sola forma univoca di dialogo: leggere il relativo prezzo e capire se proprio quello è il prezzo che dobbiamo pagare tutti.   


*

Anno Domini 2022

 Usciamo di casa dopo il grande diluvio. Aprile è rimasto intatto insieme ai ripari dei diseredati. I mendicanti non avevano grasso per rimanere a galla, eppure sono ancora lì, relitti in superficie. Attraversiamo strade periferiche. Vita che rimane attaccata alla vita nonostante le scollature.

 

I poeti ci lasciano testimonianza di una guerra virale, l’hanno cantata nei loro combattimenti porta a porta, a porte chiuse. Poeti come rabdomanti di tagli ancora aperti alla ricerca ognuna della propria lama. Stigmate sottopelle, riserve sottocutanee mitopoietiche, ferite che all'occorrenza tornano a sanguinare. 

 

Tu figlio mi chiedi cos’è una pandemia, e il mio pensiero è a un bivio, tra la tua voce e le parole di Malthus "Gli uomini si moltiplicano più rapidamente delle sussistenze". 

Rimango in silenzio. Il virus è la legge naturale, l’ordine da ristabilire nell’entropia umana.

 

I poeti sanno osservare il dolore, e il dolere, lentamente, entra nelle loro vene e iniziano le parole a incidere il foglio. Basta un movimento per scottarsi a quel calore. E la carta inizia a bruciare.

 

Figlio, vedi quell’uomo? Si, quell’uomo riverso tra i resti del fast food, lattine vuote e un rivolo di urina che fuoriesce dalle sue braghe. Ha una ferita rivoltante: un piede nudo e rigonfio di lacerazioni. Ricordano in un tuo libro di scuola la foto del magma terrestre quando il pianeta era una palla infuocata. Mentre penso alla cancrena imminente tu mi chiedi se la ferita sia curabile. Guardo altrove e prego per tutti coloro che non hanno saputo reggere la competizione sociale.

 

Da Aprile arrivano i mesi più crudeli, generano dai social la fioritura dei poeti, piante monumentali che non reggono più il peso di premiazioni e menzioni d'onore per concorsi letterari. Fioccano immagini di sorrisi slabbrati dalla gioia per le targhe. Poeti laureati e diplomati decorati come generali di lunga data per le vittorie sul campo di battaglia.   

 

Figlio, è presto per dirti che questa forma di capitalismo professa il culto del profitto e dei consumi di massa, la libertà al prezzo dell'emancipazione da Dio, e poi il ciclo di ideazione, produzione, uso e rifiuto agganciato come un binario alle nostre vite; così concepiamo, nasciamo, lavoriamo e rimaniamo dismessi già all’origine tra le metastasi della solitudine.

 

Sento il peso di una colpa generazionale. Siamo noi che abbiamo accettato "Quel programma completo di riforme strutturali che deve spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev'essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l'individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità." 

 

Figlio, come posso spiegarti che tutto questo precipizio è stato montato ad arte dagli abbienti, dalla parte abbiente del mondo? E come posso dirti che: "Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine.” 

 

A breve si scontreranno faglie continentali dalle cartine geografiche, sentiremo accartocciarsi confini politici e riaprirsi fratture di una Storia che ritornerà inattesa sui propri passi. 

 Forse figlio non c’è più tempo, hai ragione, non è più tempo di silenzi. Devo scegliere da quale parte stare. Se essere la tua guida nello stare in questo mondo, o rimanere all’interno di una torre d’avorio, più che di guardia, e abbandonarmi per sempre a questa corruzione dello sguardo che è la poesia.

*

“Quel programma completo di riforme strutturali…” proclama di Tommaso Padoa Schioppa.

 "Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato…” da "Realismo capitalista" di Mark Fisher

 

Io credo in un solo Io


Io credo in un solo Io, padre onnipotente
creatore del cielo e della terra che ho creato
di tutte le cose visibili e invisibili 

di cui sui libri e sui social rimane traccia

 

Credo in un solo Io, un Gesù Cristo,

unigenito, Figlio mio,

nato da me prima di tutti i secoli,

Io da Io,

luce da luce,

Io vero da Io vero

generato, non creato

per rimanere qui,

tra le pagine immortali


Io credo in un solo Io, vista l’assenza prolungata di dio,
credo nel capitale finanziario, nei paradisi fiscali,
nella massimizzazione del valore per gli azionisti,
nella terra come fattore produttivo 
destinato al lavoro degli immigrati,
credo nei meno abbienti destinati alle periferie
nella marginalizzazione del conflitto sociale
che ci rafforza nella competizione globale

 

Credo nella flessibilità del lavoro,

nell’esercito di mano d’opera di riserva,

nella trickle down economy

 

Credo nel mercato, che ci rende liberi

di scegliere, credo nei rider 

nuovi cavalieri del lavoro, avventurieri

di un’epoca senza epica, imprenditori

di sé stessi fuori dalla noia operaia

 

Credo nella catena globale del lavoro,

nella produzione dislocata nei paesi

senza diritti e a basso salario

 

Credo nella dislocazione della produzione

come la celere disloca la spalla del manifestante

quando è a terra, inerme, battuto

 

Credo nella debolezza della forza contrattuale

dei lavoratori, così come credo nella forza

della propaganda e dell’immagine pubblicitaria 

 

Io credo in un solo Io, nella classe media assuefatta 

al limpido calore dell’acqua, alle nostre estati in vacanza,

alle acque termali che ci lessano come rane bollite

 

Io credo in te dio mio che hai la mia stessa faccia,

credo nella mia generazione che ha eretto 

cattedrali egotiche e scavato fossati comuni

per difenderci dagli assedi della morte

 

Credo in un solo Io, nel mostro interno

che ci vive dentro,

come nel dipinto di Goya

dove Saturno, con occhi alieni, divora il figlio

strappando a brandelli la carne

della propria carne


*
Homo homini lupus

Abbiamo creduto in una terra 
promessa, al fuoco delle idee, 
al culto del sacro per ripararci 
dal freddo ancestrale

 

Abbiamo creduto allo stare 

insieme per difenderci dai lupi

che, come noi, non avevano mai 

creduto all’impresa di un singolo 

componente del branco

 

Perché i lupi non lasciavano indietro nessuno,

e se un vecchio moriva, o un cucciolo si perdeva,

solo allora un lupo si staccava dal gruppo 

per risalire una cima al chiaro di luna, 

pur di rendere visibile a tutti 

un ululato di addio 

o di bentornato